Sembrerebbe un ossimoro ma vi assicuro che anche nel cambiare idea esiste una certa coerenza. Siamo dotati di meccanismi innati dell'intelletto che impediscono cambiamenti radicali; tutte le connessioni corticali che rappresentano il vissuto, come esperienze e ricordi, costituiscono l'impalcatura del nostro pensiero, attraverso il quale sviluppiamo le nostre idee, e in base a esse osserviamo dei comportamenti.
Esiste, insomma, una linearità. Ed è davvero raro assistere a una mutazione totale di opinione o comportamento, poiché questo obbligherebbe il nostro cervello ad ammettere un grossolano errore nell'interpretazione di quella parte di vissuto coinvolto. Teniamo bene a mente questa considerazione perché la riprenderemo alla fine.
Questa constatazione ci porta a realizzare che la base della nostra idea debba essere solida, per potersi man mano sviluppare progredendo verso ciò che sarà una convinzione. Se questa solidità iniziale venisse a mancare, allora la nostra mente eviterà di consolidare tale idea e non si determinerà alcuna convinzione. In questo modo il cervello evita gli errori maggiori ottimizzando la propria fisiologia di sviluppo, ma occorre essere immersi in tanti stimoli e non limitare la nostra cognizione a pochi elementi settoriali della nostra vita.
Per fare un esempio, se ci siamo convinti che il colore azzurro ci rende sereni non cambieremo mai più questa convinzione in senso radicale, ma cambieremo sicuramente tante volte la tonalità di quell'azzurro, cercando quella che troviamo più piacevole in assoluto. Probabilmente non riusciremo mai a trovare la tonalità perfetta, ma non ci potremo mai scostare verso un colore appartenente a tutt'altro spettro.
Al di là d'eventuale vantaggio nella fisiologia, che si può solo supporre ed eventualmente l'evoluzione ci consentirà di superare anche questo limite, il vantaggio più tangibile è comunque di tipo intellettivo. Uno schema del genere sembra essere ottimale per garantire lo sviluppo delle idee migliori e vincenti per l'evoluzione stessa, scartando per contro l'insorgere di convinzioni che non concorrono al miglioramento della razza umana. Chiaramente c'è un limite: questo meccanismo non garantisce che ciascun individuo sia sempre destinato a sviluppare le migliori idee, poiché come già detto la convinzione nasce dalla coerenza con il nostro vissuto e con le relative aspirazioni.
Ritroviamo questi concetti sia nella psicologia analitica di Jung, e sia in quella di Freud che fa derivare idee e processi mentali dal comportamento. Sicché nessuno può pensare molto diversamente da come si comporta (mentirebbe), e il comportamento si consolida man mano che le idee diventano convinzioni. Un'interdipendenza tra le due cose.
Come prima conseguenza si ha che maggiore sarà l'esperienza oggettiva e la conoscenza del mondo, più sarà probabile che si sviluppino idee oggettivamente vincenti e comportamenti idonei a conseguire lo scopo dell'uomo, che è quello di migliorare se stesso. Viceversa, un vissuto più limitato e confinato a pochi interessi determinerà una minore capacità di sviluppare idee e un maggior pericolo a consolidare convinzioni ristrette.
La coerenza del proprio pensiero non distingue quindi tra buono e cattivo; non ha alcuna morale innata e senza un vissuto o nessuno che ci abbia spiegato bene le differenze, siamo alla completa mercé delle nostre esperienze. Se ci siamo convinti di qualcosa, quel qualcosa ci accompagnerà per tutta la vita, buono o cattivo che sia. Ne potremo cambiare solo qualche sfumatura ma il nostro comportamento rimarrà saldamente ancorato a quella convinzione e alle sue eventuali sfumature.
Abbiamo unicamente la capacità di mentire. E siamo bravissimi a farlo in particolare con noi stessi.
Racconteremo, a noi stessi e agli altri, di essere convinti di cose completamente diverse da quelle in cui effettivamente crediamo e seguiamo. Perché vogliamo disperatamente seguire i modelli che sono meglio accettati dalla società, la quale altrimenti ci taglierebbe fuori. Oppure perché vorremmo debellare comportamenti distruttivi e aberranti determinati da esperienze dolorose e un vissuto ghettizzante.
C'è una buona notizia.
Io lo chiamo “Paradosso di Rogers”, perché deriva da una sintesi del noto psicologo umanista e pacifista americano, Carl Rogers, che diceva: «Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare».
Eccoci giunti alla fine.
La questione della coerenza nel cambiare idea, anche radicalmente e nonostante i meccanismi di protezione fisiologica che non seguono alcuna morale, deve seguire la coerenza della nostra volontà nell'ammettere quel “grossolano errore”. Avviene raramente non perché non sia possibile e ci sia davvero il supposto limite, ma perché non vogliamo realmente farlo e rimaniamo nella “zona di confort” che è quella di mentire a noi stessi, raccontandoci stupidaggini e agendo all'opposto. E facciamo attenzione: è qualcosa di più, molto di più, che il “predicare bene e razzolare male”.