In questo proseguo di quarantena avendo molto tempo per riflettere è inevitabile, e prezioso al tempo stesso, dedicare qualche momento in più ad ascoltare un’emotività cavalcante l’onda di questa strana dimensione relazionale e sociale che sta piano piano diventando quotidianità e non più eccezionalità.
I primi tempi ,quando tutto questo sembrava essere molto temporaneo, sono uscite allo scoperto un condensato di risposte e reazioni talvolta euforiche per sconfiggere un nemico del quale si avvertiva la presenza ma che sembrava potesse soccombere nel giro di qualche tempo.
L’inno nazionale e le canzoni regionali cantate dalle finestre spezzavano il silenzio surreale delle strade semi deserte delle città. Le video-ricette e i tutorial di ogni sorta pubblicati sui social popolavano le bacheche di milioni di persone , tutte unite e connesse nel mondo virtuale, l’unico disponibile in questo momento così particolare.
La platea digitale della rete rappresentava l’unico palcoscenico disponibile dove mettere in scena la propria emotività, dove sperimentarsi , dove fare fronte comune e sentire di appartenere a qualcosa, dove investire l’altro per nutrire il narcisismo primario essenziale allo sviluppo e al benessere del Sé .
La coralità di voci, video e bandiere con slogan rassicuranti sembrava poter colmare un vuoto relazionale comune a molti ed esorcizzato attraverso un unione simbolica contro un nemico da prendere a schiaffi in una rappresaglia. Rappresaglia perché forse un po’ tutti pensavano all’inizio che bastasse fare la voce grossa, molto grossa, urlare a squarciagola per poterlo spaventare e farlo indietreggiare fino al punto di scomparire e non lasciare traccia.
I giorni trascorrevano caratterizzati da una dilatazione temporale alienante più o meno profonda, inghiottiti da una liquidità emotiva dove i confini tra le emozioni sono diventati talmente impalpabili da crearne di nuove mai provate.
Quel nemico da prendere a schiaffi in una rappresaglia ha iniziato a mostrare artigli molto affilati e una tenacia che inizialmente non pensavamo potesse avere, l’umanità ha iniziato a sentirsi messa all’angolo.
Anni di storia e teorie psicosociali hanno sottolineato che quanto più un popolo è fragile quanto più risulta dipendente, conformista sia a livello normativo che informativo. Terreno fertile di un’empatia vicariante spesso strumentalizzata nella storia da leader carismatici in grado di essere oggetti Sé perfetti [1].
Ebbene in questo momento qualcosa sta iniziando a cambiare, da temporanea questa situazione pare diventare a tempo indeterminato come un contratto, solo che in questo caso non è una conquista ma una sorta di amara delusione. Non ci sono cene in famiglia per festeggiare un traguardo ma una sottile consapevolezza che qualcosa sta cambiando se non per sempre , per molto.
I canti e i video sui social iniziano a essere soffocati da un bisogno sempre più incessante di un Oggetto Sé funzionale che però sta tardando ad arrivare.
Il bisogno di un parere informativo solido, in grado allo stesso tempo di cambiare i comportamenti nel profondo e di farci sentire protetti e in grado di sconfiggere questo virus, pare essere un miraggio offuscato dalla pluralità di informazioni contrastanti fra loro.
Virologi, epidemiologi e uomini che rivestono un’autorevolezza scientifica notevole si susseguono nelle emissioni televisive e nei comunicati stampa diffondendo informazioni incerte, antitetiche le une alle altre. Viviamo un trauma che ci riporta alle relazioni primarie con il caregiver. [2] Non si sa più a chi e a cosa credere, chi ci deve proteggere e dare risposte appare debole , non distinguiamo più i rosso dal verde. Nel frattempo i comparti economici iniziano a sgretolarsi, molte famiglie iniziano a indebolirsi a tal punto da doversi affidare alla solidarietà per tirare avanti. Il comunicato del presidente Conte diventa l’appuntamento più importante da una settimana all’altra, ci si appella ai numeri, alle statistiche, alle conferenze stampa della protezione civile. Il presente lotta con tutte le forze per ritrovare una forma , il futuro appare quanto mai avvolto da una nebbia fitta che ci impedisce di proiettarci in un domani solido.
In questo momento il nemico è l’unica fonte spontanea di coesione e di identificazione in un ingroup, [3] gli infetti asintomatici e chi non rispetta le regole di distanziamento sociale stanno diventando gli attori di un outgroup da combattere con isteria e severità. Qualche politico sta sapientemente cercando di inserirsi in questa dinamica sfruttando un’empatia vicariante da utilizzare a proprio favore a scopo elettorale cosciente di un popolo sempre più fragile e dipendente da un condottiero leale che lo proteggerà da tutto e tutti per condurlo alla vittoria, contro il virus, contro l’ Europa, contro tutto ciò che è outgroup.
E così dalle finestre calano le voci, le bandiere a mezz’asta iniziano a sbiadire con il passare del tempo e sotto i primi raggi cocenti della primavera, aumenta la rabbia verso il prossimo ,colpevole di portare fuori il cane una volta di troppo o di non indossare la mascherina giusta.
La liquidità emotiva che caratterizza le giornate e la pluralità di isole dell’arcipelago del Sé ,che tutte a gran voce ci richiedono di essere esplorate in questo momento di assordante silenzio e intima solitudine, rappresentano un conflitto che ora più che mai, rintanati soli nelle proprie case, siamo chiamati a placare per ritrovare pace e equilibrio. L’illusione di essere un Sé unico dentro una pluralità di Sé è piano piano smascherata nel teatro della dilatazione di queste giornate cosi dense di emozioni mutevoli e dai confini talmente impalpabili da renderci fluidi come tante macchie d’olio che si mescolano fra loro e non hanno più confine.
Tanti in uno
[1] Kohut H. (1978) La ricerca del Sé trad. it., Boringhieri, Torino, 1982.
[2] Winnicot. D. (1968) La famiglia e lo sviluppo dell’individuo. Armando Armando, Roma, 2008.
[3] https://elementidipsicologia.wordpress.com/2013/12/18/lidentita-sociale/