Mentre l'Europa annuncia nuove regole per arginare l'espansione delle Big Tech americane, sia nel controllo del mercato digitale che nel controllo di quello tradizionale, negli Stati Uniti una nuova grana legale si abbatte su Google, citata in giudizio da 10 Stati guidati dal Texas con l'accusa di preservare il proprio monopolio nel mercato della pubblicità online in maniera tale da violare la legge.

Tra i comportamenti illegali di Google vi sarebbe anche quello che include un accordo con Facebook per manipolare le aste pubblicitarie: Google avrebbe accordato dei vantaggi a Facebook sui prezzi degli annunci, in cambio dell'abbandono di piani di sviluppo che avrebbero finito per mettere in concorrenza le due aziende in alcuni settori, sempre del mondo digitale.

Google ha smentito le accuse, mentre Facebook ha rifiutato di rilasciare commenti.

Ken Paxton, il procuratore generale del Texas, che nei giorni scorsi è arrivato alla ribalta delle cronache per aver presentato una mozione (poi respinta) alla Corte Suprema degli Stati Uniti per chiedere l'annullamento del voto in alcuni degli Stati in cui Trump è stato sconfitto alle ultime presidenziali, ha pubblicato una "filippica" su Twitter in cui riassume le motivazioni che lo hanno indotto ad avviare la causa contro il gigante tecnologico californiano in questi termini:

"Se il libero mercato venisse paragonato ad una partita di baseball, Google allo stesso tempo interpreterebbe il ruolo di lanciatore, battitore e arbitro".