Don Tonino Bello, al secolo Antonio Bello, vescovo cattolico che ci ha lasciato prematuramente 33 anni orsono, una volta enunciò una frase che il giovane me non comprese subito. Disse: «Non “Vivi e lascia vivere”, ma “Vivi e aiuta a vivere”».
Non avendo mai avuto simpatia per le frasi fatte, la nuova lettura proposta da don Tonino la ritenevo superflua. Quindi l’archiviai. Peraltro all’epoca non avevo molte simpatie per i preti da strada con note progressiste, che ritenevo ipocriti per partito preso. Anche oggi per la verità - ve ne potrei raccontare - ma ora cerco di concentrarmi sul pensiero espresso, piuttosto che lasciarmi guidare dai pregiudizi sui gruppi d’appartenenza.
Comunque il guaio era diverso. Sostituire un luogo comune con un altro, anche se quest’ultimo è positivo rispetto al primo, non è soluzione. Però mi sbagliavo; perché allora non avevo ancora esplorato gli aspetti epistemologici che ci conducono a “intuire” la correttezza di un’affermazione assiomatica, quando da essa riusciamo subito a coglierne l’essenza filosofica positiva sulla quale si fonda. Esistono, insomma, dei concetti che potremmo definire “primitivi”, sui quali si fondano i ragionamenti e le indagini. E quella frase ritoccata da don Tonino era diventata una “primitiva”, non più il banale luogo comune all’origine ma le due parole che usualmente pronuncia il saggio per dissipare ogni dubbio.
Non l’ho subito compreso perché detesto i luoghi comuni. Osserviamo, soprattutto oggi, il loro uso smodato e incessante nell’intercalare quotidiano di chiunque: «Che ci possiamo fare… purtroppo le cose non cambiano… che Dio ci aiuti… mi faccio i fatti miei che è meglio…». Non riusciamo proprio a dialogare? Ad ascoltare l’altra persona e provare a fare con essa i “discorsi belli”, quelli che Socrate consigliava al bel Carmide nei racconti di Platone. Perché sono loro che curano l’anima e illuminano la via. Tutti questi stereotipi e modi di dire spiccioli, il più delle volte infondati e comunque sempre astratti, generici, privi di soggettivo e oggettivo significato nella replica “consolatoria” (e noi crediamo che lo sia) al lamento, alla protesta, al rammarico, di chi ci sta parlando, tentando - forse - di dirci qualcosa o chiedere aiuto con discrezione. E non saranno tutti ciarlatori annoiati! O quelle due chiacchiere col conoscente, per strada, esclusivamente codificate su quel frasario banale intriso di pregiudizi fino all’osso.
Meglio tacere che sfoggiare questo frasario inquinante che probabilmente contribuisce solo ad aumentare il livello di CO2 nel pianeta.
Oppure possiamo fare come don Tonino Bello e trasformare i luoghi comuni in concetti primitivi, assiomi epistemologici che sono radicati nella cultura umana e nel suo cammino di bene. Non più “si è sempre fatto così”, ma “si è sempre fatto così: cambiando quello che non funziona”. Non suona meglio quest’ultima frase? Non è più completa, intuitivamente corretta, e, soprattutto, fornisce quella vera speranza che non è passiva rassegnazione di subire immotivatamente l’errore, ma di poterlo (volendo) risolvere.
Oggi ringrazio don Tonino perché mi ha insegnato che non è sempre necessario scrivere fiumi di parole giustificando ogni singola affermazione, ma si può anche ricorrere a concetti primitivi che non siano insignificanti stereotipi convenienti magari a chi li promuove. A lui stesso non si può dar torto quando dice: «Vivi e aiuta a vivere!», essendo questo il concetto primitivo che ricorda il complesso dei ragionamenti sulla cooperazione e sullo scopo della specie umana.
Non è facendosi i fatti propri che si evolve, ma immischiandosi, sporcandosi le mani, spesso diventando antipatici; e naturalmente trasformando quel frasario di banalità che ci portiamo dietro tutti i giorni nell’interagire con i nostri simili.
Ed è questa la cura dell’anima.
📸 base foto: particolare della “Testa di fanciulla”, abbozzo a terra ombra di Leonardo da Vinci (1508 circa), pubblico dominio