di Vincenzo Musacchio (*) - L’introduzione del nuovo delitto di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica (art. 434 bis c.p.) ha suscitato non poche critiche, molte delle quali ritengo fondate. 

Credo pertanto sia necessaria una riflessione su alcuni principi fondamentali del diritto penale contemporaneo. 

Si legge nella relazione introduttiva che l'intervento normativo mirerebbe a rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (c.d. rave party). 

La domanda a questo punto sorge naturale. Se si volesse punire il “rave party” credo che come minimo requisito di descrizione della norma penale queste due parole dovevano essere contenute nella nuova fattispecie incriminatrice. Non mi sembra di esse vi sia traccia. 

I casi che si sono finora presentati nella realtà hanno riguardato meeting, organizzati mediante un "passa parola" clandestino, realizzato attraverso il web e soprattutto attraverso i social network, che si sono tenuti in aree di proprietà pubblica o privata invase illecitamente dai partecipanti. Nessuna di queste specifiche modalità di realizzazione della condotta sembra essere descritta nella nuova norma penale. 

Nell’art. 434 bis c.p. è scritto “invasione” da intendersi come l'introduzione o l'immissione arbitraria in un immobile altrui, per un tempo giuridicamente apprezzabile, la quale non costituisce, però, una vera e propria occupazione.

Nella norma è contenuto il concetto di “raduno pericoloso”. In diritto penale il raduno indica la riunione di più persone nello stesso luogo per uno scopo determinato. Esiste anche l’assembramento e cioè una riunione per motivo occasionale o improvviso. Il nostro codice penale inoltre conosce la radunata sediziosa che è tale quando rappresenta un pericolo per l'ordine pubblico. Il “raduno pericoloso” così com’è scritto sembra un concetto non sufficientemente chiaro. Non rispetta il principio di determinatezza e tassatività della norma penale.

Si parla sempre nella norma di “invasione arbitraria” di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta. Perciò viene naturale domandarsi se la riunione si facesse affittando o prendendo in comodato d’uso un immobile, il delitto non sussisterebbe?  

Si scrive inoltre che per la sussistenza del delitto occorra che lo stesso sia commesso da almeno 51 persone. Non si comprende secondo quali principi di politica criminale si sia desunto questo numero.

Il bene giuridico tutelato è l’incolumità pubblica. La nuova norma è inserita tra i delitti di comune pericolo mediante violenza. L’incolumità pubblica quindi è lesa con l'occupazione? Se la risposta fosse positiva, allora saremmo di fronte ad un pericolo presunto e non comune. Evidenzio dunque una dissonanza con i principi di ragionevolezza e offensività. Non mi sembra adeguatamente individuato il bene giuridico protetto. L’invasione degli edifici o dei terreni, già di per sé antigiuridica, è, infatti, qualificata dall’offensività in termini di pericolo presunto e non comune nei confronti di beni non solo della collettività ma anche privati. C’è un’evidente discrasia. 

Una simile norma incide e non poco sulla libertà di riunione del cittadino (art. 17 Cost.), con il quale va controbilanciata una precisa lesione dell’incolumità pubblica che onestamente a mio avviso non può essere presuntiva o peggio ipotetica e discrezionale. La norma penale deve essere oggettivamente predeterminata mediante precisi elementi normativi e descrittivi, non soggettivamente determinabile e quindi ampiamente discrezionale. 

La nuova fattispecie incriminatrice punisce i colpevoli con la reclusione da tre a sei anni e la multa da mille a diecimila euro. È prevista la confisca obbligatoria degli oggetti usati per commettere il reato o per realizzarne le finalità e l'applicazione delle misure previste dal codice antimafia (sorveglianza speciale, divieto o obbligo di soggiorno). 

Mi sembra irragionevole che la previsione sanzionatoria del decreto legge vada addirittura a modificare il codice antimafia, includendo il nuovo delitto tra quelli che consentono di applicare agli indiziati (cioè ai semplici sospettati, senza che sia necessaria un’indagine formale) le misure di sorveglianza speciale, divieto o obbligo di soggiorno. S’inserisce il delitto tra quelli di particolare gravità come l’associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti, alla tratta di esseri umani o allo sfruttamento della prostituzione, stalking, atti terroristici o diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato. Norma irragionevole sotto il profilo sanzionatorio.

In conclusione l’insieme delle ragioni che si sono brevemente esposte consente di ritenere che la norma dovesse e poteva esser meglio scritta. Ciò ovviamente non impedisce che in sede di conversione possa ancora porsi rimedio alle discrasie evidenziate. Il Parlamento credo dovrà inevitabilmente apportare le necessarie modifiche al testo nel pieno rispetto del principio della partecipazione democratica di tutte le forze politiche, sempre auspicabile nel quando si predispongono testi normativi che riguardano la materia penale.



(*) Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.