Nella conferenza stampa del Venerdì Santo, il premier Conte ha confermato quello che già ormai era chiaro, visto l'andamento del contagio: l'Italia continuerà a rimanere in quarantena fino a domenica 3 maggio (dpcm 10 aprile 2020).
Anche per le aziende non ci sarà alcuna riapertura, escluse alcune attività ritenute necessarie come, ad esempio, librerie, cartoliberie, negozi per bimbi, silvicoltura (il taglio degli alberi per fare legna)...
Ma per la fase 2, quella della riapertura (che a questo punto non è illogico ipotizzare per metà maggio), il Governo si sta preparando. A questo scopo ha nominato una serie di esperti in vari settori - guidati da Vittorio Colao - che avranno il compito di coordinare le esigenze del Paese con la prevenzione del contagio, in base alle direttive dettate dal comitato tecnico scientifico.
Per quanto riguarda la ripartenza delle aziende, valgono le indicazioni già dettate a suo tempo dal Governo su come rendere sicuri i luoghi di lavoro. Tali indicazioni sono da considerarsi come punto di partenza eventualmente da migliorare, se ciò si rivelasse necessario.
Probabilmente, saranno riviste anche le modalità relative a logistica e spostamenti... ma al riguardo Conte non ha dato indicazioni precise.
Dopo aver parlato della "clausura", il premier ha voluto chiarire la posizione dell'Italia nella trattativa con l'Europa in merito alle misure economiche da mettere in campo per la ripresa dei Paesi dell'Unione.
Quella che si è svolta ieri, ha ricordato Conte, era la riunione dell'Eurogruppo, in cui i ministri delle Finanze dei Paesi della zona euro hanno concordato un protocollo d'intesa, i cui punti dovranno poi essere discussi in dettaglio e approvati nel prossimo Consiglio europeo del 23 aprile.
Per il presidente del Consiglio, saranno necessari almeno 1.500 miliardi di euro per affrontare la crisi e le misure che l'Europa dovrà adottare dovranno essere adatte all'emergenza e, sopratutto, disponibili quanto prima.
Per l'Italia, ha ribadito Conte, i cosiddetti eurobond o come si preferisca chiamarli, sono lo strumento principe per affrontare la crisi, in modo che lo sforzo economico condiviso tra tutti i Paesi Ue finisca per essere meno oneroso e più efficace.
E se gli strumenti economici che il prossimo Consiglio europeo dovrà o dovrebbe approvare non fossero ritenuti dall'Italia soddisfacenti e inadeguati alla crisi, l'Italia non firmerà alcun accordo al ribasso.
E il Mes? L'Eurogruppo ne ha parlato, perché - ha detto Conte - alcuni Stati membri e non l'Italia ne hanno ipotizzato l'eventuale utilizzo come ulteriore linea di credito, ma senza condizionalità, in relazione alla necessità di effettuare spese sanitarie entro una certa percentuale del proprio Pil.
Per questo, Conte non ha resistito a togliersi qualche sassolino dalla scarpa, definendo incomprensibili, oltre che assurde, le dichiarazioni rilasciate fin dalla scorsa notte da Matteo Salvini e Giorgia Meloni sull'argomento.
L'Italia, ha ribadito Conte, non ha bisogno del Mes e non lo ha richiesto. Inoltre, si è stupito del fatto che la Meloni, così attiva nel denunciare le nefandezze del Mes, si sia dimenticata di averlo approvato quando faceva parte del governo Berlusconi come ministra della Gioventù.