Sarebbe da sfatare anche la leggenda di un semisconosciuto che si presenta al fatidico festival per sfruttare Dalida, visto che c’è chi assicura si fosse già comprato una torre medievale a Recco, dove saltuariamente viveva. Aver cantato la sigla dello sceneggiato “Il commissario Maigret”, che allora guardavano tutti quelli che possedevano un televisore, non era una bazzecola; essere transitati per le trasmissioni di Boncompagni e Arbore (di quest’ultimo era particolarmente amico) significava consacrazione. Era già andato a esibirsi con illustri colleghi in Germania, dove si dice avesse provato le prime “droghe olandesi” e transitato per l’Argentina. Noi, che all’epoca frequentavamo le elementari, lo conoscevamo. Il giorno dopo il fatto, nel cortile della nostra scuola tutti i bambini ne parlavano: come, di lì a pochissimo, si parlò della scomparsa di Totò.
Tuttavia, stando al giornalista Daniele Piombi, nell’intervista affermò:
«P: Tu speri in un'affermazione, in un'entrata in finale o in una vittoria...T: Io spero in una vittoria.P: Una vittoria a Sanremo?T: Sì.P: Allora diciamo che il pronostico di Luigi Tenco per questo XVII° festival della canzone italiana è a favore di Luigi Tenco.T: È a favore di Dalida, quindi indirettamente a favore di Luigi Tenco». (luigi-tenco.tripod.com)
Nel turbolento romanzo della sua fine entrano nomi che non faremo, ma abbiamo sentito girare da sempre e ovunque, personaggi repubblichini, Decima Mas, finti o veri rivoluzionari transfughi a Cuba e non avremmo finito.
Un po’ in affanno per dovere di sintesi, eccoci al 27 gennaio 1967. Come sappiamo, non esiste più un minimo residuo in video della sua performance, anche se si legge che qualche emittente straniera (trasmettevano in mondovisione, mica scherzi) l’avrebbe conservato in archivio, resta solo qualcosa di Dalida in prova, con il patron Gianni Ravera che la osserva; il boss, odiato da Claudio Villa che gli rivolse atroci e formali accuse, era antesignano di Adriano Aragozzini, coetaneo/conoscente di Tenco e, si mormora, oggetto pure dei suoi scherzi, non sempre bene accetti.
Ovviamente chi entra in quel mondo sa che va incontro a dei compromessi e non possiamo credere che il cantautore, forse un po’ ombroso, ma affamato di vita e germoglioso di speranze non lo sapesse. Qualcosa era accaduto, nei giochi tra case discografiche o semplicemente nei gusti del pubblico?
Il pezzo incriminato, effettivamente, non era avvantaggiato dal fatto di passare per ultimo, ma il risultato fu scarso assai e nemmeno la giuria di qualità fece molto per “ripescarlo”. Possiamo dire che “Ciao amore ciao” non ci convince? La canzone cambia ben tre melodie, invece di attenersi a una di base con refrain; è rimaneggiata per rimanere sospesa tra sentimento ed echi sociali; Luigi era forse nervoso e sovreccitato per qualche miscugliaccio mai appurato (checché ne dica chi sa sempre tutto), ma Dalida era una star internazionale e, con il suo robusto appeal professionale, avrebbe ben potuto dare un drizzone per il pubblico più tradizionalista. I residui sono cataste di polemiche e di annotazioni di critici non sempre autorevoli, che nulla possono aggiungere a quanto NON si saprà mai.
Tutti saranno informati riguardo le miriadi di polemiche sulla morte, il suicidio che non convince, il biglietto, chi c’era o non c’era d'attorno. Vi riassumiamo quello su cui, a nostro modesto avviso, c’è da meditare, per evitare di farsi lavare la testa. Come sempre, faremo il minor numero di nomi possibile.
Non c’è accordo sull’ora in cui Dalida, da lui mollata al ristorante con il team, per sgommare verso ignoti lidi e farsi ritrovare steso nella camera 219, abbia ricevuto la telefonata che la allarmava su “un malore” del partner, né sulle prime parole pronunciate dalla star: ne potrete ascoltare tante, ma nessuno può ormai più saperlo offrendovi un riscontro valido.
La stanza era ubicata nella dépendance dell’hotel Savoy e si poteva accedervi abbastanza indisturbati. Se la Giulia Coupé fosse o meno “schiaffata” di sabbia non si può azzardare molto, avendo a disposizione solo una foto della vettura, sparita insieme alla famosa pistola Walther Ppk 7.65 nel cruscotto.
A proposito. Perché egli chiese a Paolo Dossena di guidargliela da Roma, mentre lui arrivava a Sanremo da altrove, senza dirgli che c’era dentro l’arma? Il malcapitato amico ha dichiarato di aver incontrato , verso Grosseto, un posto di blocco che per poco non gli faceva il paiolo, se i pula l’avessero vista.
Continua...