È online sul sito viandanti.org l’editoriale di Paolo Cugini (parroco di quattro parrocchie nella campagna bolognese) che riflette sulla crisi della figura del presbitero nella società occidentale contemporanea, dal titolo: “Presbiteri guide di comunità: quale discernimento?”.
Il ruolo del prete a capo di una comunità oggi soffre di una duplice crisi, spiega Cugini: di identità sicuramente, ma anche di credibilità.
«Da una parte, gli scandali della pedofilia hanno contribuito a corrodere l’immagine del prete come un essere ontologicamente diverso, come una certa spiritualità aveva contribuito a creare, come se fosse immune alle passioni. Dall’altra, l’attuale contesto culturale sempre più post-cristiana e post-teista, rende obsoleta la presenza di quel modello di prete che funzionava nell’epoca della cristianità, ma che oggi ha valore solo per la vecchia guardia cattolica». P
aolo Cugini prova a tracciare alcune piste percorribili per edificare una «Chiesa del dopo», che però è già iniziata. Prima di tutto suggerisce di «chiudere i seminari», divenuti ormai inutili:
«Nella Chiesa del dopo» «le guide di comunità non dovranno essere celibi e nemmeno separati dal popolo di Dio. Saranno scelti tra quelle donne e quegli uomini che la comunità indicherà». Le nuove guide, siano esse uomini o donne, si formeranno con «un percorso molto più semplice, più attento alle tematiche del tempo presente, collegato alle facoltà umanistiche già esistenti e integrato con proposte locali modificabili di anno in anno».
Al secondo punto, Cugini propone «uno stile di vita riconosciuto» per le guide di comunità:
«Dovranno essere persone adulte, con alle spalle un cammino di vita evangelica riconosciuta dalla comunità. L’idea che dei ragazzi di 25 anni siano in grado di presiedere l’eucarestia in una comunità, per il semplice fatto che hanno terminato un percorso di studi è veramente poco evangelica».
Secondo il parroco bolognese, non contano tanto gli anni di studio quanto uno stile di vita riconosciuto dalla comunità fondato sulla trasparenza, la giustizia, la gratuità, l’amore per i poveri, gli esclusi, per la pace.
Terzo: occorre «coinvolgere il popolo nella scelta» della propria guida, come segno del superamento di una mentalità gerarchia «mai abbandonata», e come effettiva responsabilizzazione della comunità dei laici. Ancora oggi, denuncia Cugini, «nonostante i proclami e i tanti documenti, è visibile la separazione netta tra clero e laicato».
Quarto: è necessario «rivedere la teologia del sacramento dell’Ordine» adeguandola alla valenza soggettiva e personale della vocazione:
«Se la scelta non è più individuale ma comunitaria, nel senso che è la comunità che indica il candidato e non viceversa, può essere un servizio a tempo, un periodo stabilito assieme ai membri della comunità, a partire anche dalla situazione personale del candidato. Questo aspetto aiuterebbe a sfatare l’alone di mistero attorno al prescelto, come se fosse un eletto da Dio».
Secondo Paolo Cugini, infine, l’incarico di guidare una comunità non dovrebbe essere retribuito bensì volontario, perché la guida di comunità è un credente tra tanti, che «svolge il proprio lavoro e alla domenica presiede l’eucarestia». Coordina poi i vari gruppi interni alla comunità, che però saranno autonomi e guidati a loro volta su base volontaria.
«Ciò permetterebbe alle guide di essere più libere, meno dipendenti dalla comunità da un legame di tipo economico».
Fonte adista