Alzi la mano chi, soprattutto tra gli agé, non ha mai guardato a un paesaggio senese con estasi, stregato da profili pittorici di cui tanti hanno parlato e così bene che, in questa sede, ci asteniamo da aggiungere ovvie considerazioni: basti ricordare quanti VIP vi si sono installati, un motivo ci sarà.
Quanto alla città di Siena, osserviamo un rigoroso silenzio, per tema di dire una parola storta su usi e costumi locali, legati a quella corsa equestre attualmente sospesa, che molti forestieri detestano ritenendola una passerella di abusi sui cavalli, ma che molto intrigava gli stranieri, tanto che se ne fece un film, “La ragazza del Palio”, nel 1957, diretto da Luigi Zampa, con Vittorio Gassman e Diana Dors, una stellina inglese che imitava Marilyn.
Una contrada, in realtà, entra anche in questa vicenda luttuosa e amara, come vedremo.
E’ la settimana del “Palio dell’Assunta”, 8 agosto 1997, turisti ovunque, almeno di giorno, poi si diradano. Alessandra Vanni, una trentenne che è tornata a vivere con i genitori dopo la fine del suo matrimonio, e lavora da quando ha terminato la scuola dell’obbligo, è impiegata presso il centralino dei radiotaxi: sua la voce che smista le chiamate, tanto che, vuoi perché anche lo zio è un taxi driver, o perché lei ascolta ogni giorno quel flusso di vite che vanno e vengono, affascinata, profittando di una vacanza del parente e da lui autorizzata a utilizzarne l’auto, si butta a condurre, terza donna a farlo in città. Forse c’è anche un’altra ragione, il fidanzato tassista, che è in servizio a sua volta quel giorno e sembra non aver nulla da obiettare a che la morosa esca in servizio col buio. Alessandra potrebbe anche non farlo, ha già lavorato al desk di pomeriggio, ma forse la smania giovanile di avventura e novità e il desiderio di scorrazzare in parallelo con il suo ragazzo le mettono il pepe addosso ed esce, senza il cellulare che sarebbe stato rotto; si presenta in stazione con il suo Siena 22 e trasporta, accertatamente, alcune persone, paracadutisti, studenti, degli inglesi; poi torna in piazza Matteotti, saluta due colleghi che stanno per avviarsi e se ne vanno, rimane sola sulla piazza. Il resto, a sentire i report, ce lo racconta il tassametro, sorta di scatola nera inespugnabile ( ma sarà proprio così?) che segnala una ripartenza di Alessandra dopo le 23 e l’arresto poco prima di mezzanotte, dopo aver attivato la funzione per il percorso extracomunale. In realtà non tutti concordano sulla sua presenza lì e in quel momento prima dell’ultima corsa, ma siamo al de relato, quindi prendiamo per buono.
L’indomani, molto presto, un “furbetto delle discariche”, che sta sgattaiolando in uno slargo a fine sentiero, dietro il cimitero di Castellina in Chianti, per scaricarci del suo ciarpame, si accorge dell’Alfa bianca posteggiata col muso in uscita e va a curiosare, perché dentro c’è una persona che sembra addormentata, ma è morta da qualche ora, è Alessandra: perfettamente vestita, piccole ferite e graffiature sul collo, segnato dalla strangolatura, probabilmente effettuata con la corda di canapa che le serra i polsi con un complicato nodo. L’incasso è sparito, però dobbiamo notare che non abbiamo molte fonti. La famiglia non ha parlato, non si sa da dove venga fuori la somma di 140.000 lire, che si dice tenesse con sé, forse l’aveva detto chiacchierando in piazza?
Naturalmente si va dritti sul suo giro di conoscenze, ma quelle più strette, a partire dal suo partner, sono inattaccabili, e allora si punta sui testimoni: non pochi, perché in una notte d’agosto c’è qualcuno in giro, ma alla fine non molto utili.
Pare accertato che l’auto sia arrivata nel borgo di Quercegrossa, la Vanni abbia manovrato in una piazzetta, poi compiuto il giro di un isolato, poi sia ripartita, ancora una breve sosta, il tempo di far passare un passeggero nel sedile davanti. Tutto però risulta volatile e nebbioso: in sostanza, non ci si metterà d’accordo nemmeno su quanti fossero in macchina oltre l’autista e nemmeno v’era certezza che fossero due uomini, uno solo, un uomo e una donna…
Né di più dirà un abitante del posto, che aveva notato un giro, a suo dire strano, di auto non lontano dal luogo del ritrovamento: conclusioni zero.
Negli anni duemila si tornerà sul caso, sottolineando alcune circostanze, in particolare:
pochi giorni dopo il delitto arriverà ai carabinieri un biglietto (pare dal Friuli) con una criptica scritta in latino, tratta dall’Apocalisse di san Giovanni, con oscuri riferimenti forse al nodo che legava le mani della vittima; i familiari ricevettero la solita lettera anonima del cosiddetto “consolatore”, probabilmente un nevrotico mitomane che si divertiva a scrivere ai parenti di morti ammazzati; ci si ricorda di Steve, vero nome Nicolino Mohamed Stefano, un cameriere somalo all’epoca quasi cinquantenne, che abitava a Castellina ma era molto legato a Siena, tanto da essere ammesso al circolo esclusivo della contrada “Selva” ( ecco il richiamo al Palio), sospettato di spaccio di stupefacenti ( i media non ci dicono di più, quindi noi qui possiamo solo ipotizzarlo), “quasi amico” della giovane, perché uso a recarsi a lavoro in taxi.
Ne esce un putiferio investigativo, allorquando il DNA impazza nei laboratori, e si va addirittura a riesumare l’africano (è morto nel 2006), ma non è sua la flebile traccia rinvenuta in auto. Peccato per chi indagava, e per i giornalisti che ancora una volta stavano cantando vittoria, perché pare che Ale volesse regalargli dei gattini e li avesse già riposti in una scatola legata col famoso spago: ma da dove arrivi questa informazione, non è dato sapere, nessuno ha visto l’involto con le bestiole, né queste ultime.
Ci si butta allora sul giro dei coinvolti nel rapimento dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, durato dal 17 giugno 1997 al 9 febbraio 1998, giorno della liberazione dopo che il malcapitato ha subito anche il taglio delle cartilagini delle orecchie, ma nemmeno tale pista conduce da qualche parte, sul presupposto che la Vanni avesse visto o sentito qualcosa di losco legato alla faccenda.
In realtà, volendo improvvisarsi complottisti, in quel kidnapping era coinvolto Giovanni Farina, dell’Anonima sequestri, il cui nome ha aleggiato sulla vicenda del mostro di Firenze, che molto lontana non è…ma sono fantasie, ispirate da qualcuno che lega il cognome Vanni al povero Mario già compagno di merende, che noi riteniamo del tutto innocente degli eccidi del monster.
Ci si trascina, infine, presso un tristo figuro di mezza età, collezionista di armi e ritagli di giornale che trattavano di morti giovanili, compresa quella di Alessandra, ma nulla di fatto anche per lui: stop.
Che cosa è successo ad Alessandra? Davvero c’è tanta gente che se ne va a spasso con attrezzi per uccidere all’aperto, dalle corde ai coltelli, e ammazza a casaccio? Non sarà che semplicemente, in un’orario notturno, nel deserto di una campagna che si presta a loschi traffici, la ragazza sarà stata costretta a mollare il denaro e poi, caduta nel vortice di furia di un pazzo drogato, abbia ricevuto, per sovrapprezzo, la legatura per sfregio?
Dubitiamo sempre della narrazione di killer che, invece di colpire e scappare, si attardano in manovre scenografiche per “lanciare messaggi” stile Corleone; crediamo di più in devianze acuite da sostanze, che rendono l’uomo più belva di quanto già non sia.