Camere chiuse, ma anche negozi, scuole, università, esercizi, appartamenti, palestre, bordelli: manca solo un supermercato (forse) e poi ogni locale, variamente utilizzato e denominato, è stato teatro di fatti di sangue. La strada è pericolosa, d’accordo, ma dentro si sta poi così sicuri?

Clotilde Fossati è un’elegante maestra di piano ottantenne, vedova senza figli, che vive sola a Milano e ha paura di tutto, tanto da far lezione a domicilio e non ricevere allievi in casa. Da quel poco che se ne sa, anzi, non riceve proprio nessuno, nemmeno sorella e nipoti, solo la governante. Traumatizzata da un furto, rimasta unica inquilina di un palazzo da dove lei sola non voleva sloggiare,  e allertata da alcuni lavori alla facciata, che presupponevano l’andirivieni di operai sulle impalcature, si fa addirittura sbarrare e  inchiodare le finestre di casa. Cionondimeno il 12 giugno 1988 viene rinvenuta cadavere, proprio dalla domestica, uccisa brutalmente con dieci coltellate. Il delitto è conosciuto come quello della “bottiglia di rosolio”, spaccatale sul capo, anche se a volte si parla di amaro Strega, insomma qualcosa fu bevuto a due, c’erano i bicchierini, oltre a mozziconi e cornici smontate. E’ stata portata via la borsetta che conteneva un libretto di assegni. Inizialmente si pensò ai contrasti tra Tilde e la nuova proprietà dell’immobile, che l’aveva sfrattata a forza, pur con un risarcimento, e comunque la donna faceva resistenza ad andarsene; poi si controllò uno dei muratori addetti alla ristrutturazione; dopo ancora, il figlio della colf, poi zero. Il DNA è stato comparato, negli anni novanta quando già si poteva, a qualcuno dei sospetti? Non si sa. Di solito non ci sbilanciamo, ma, pur se la Fossati non lasciava un gran patrimonio,  il movente non ci sembra passionale e, soprattutto in quegli anni, giravano personaggi che uccidevano per poco, ancora al riparo dai controlli tecnologici.

Nella mistica Umbria, precisamente a Todi, la notte tra il 14 e il 15 luglio del 1993, Mara Calisti, 36 anni, in quei giorni sola in casa col padre, entra nella camera di quest’ultimo dormiente, si accascia sanguinante implorando aiuto e muore. Si stabilisce che il delitto si è consumato forse a mezzo di un cacciavite, nella camera di lei, che si sarebbe poi trascinata in quella paterna. Tutto ciò che sappiamo è di una telefonata riferita come strana, da una vicina di casa che aveva preso il caffè con lei poco tempo prima. Mara, ragazza impegnata, con lavori part time da segretaria e donna delle pulizie, poco civettuola per modi e abbigliamento, viene data per amante di un uomo sposato (coperto da alibi della moglie) e di un misterioso ragazzo con i capelli ricci, ma alla fine verrà torchiato il papà, scagionato nel 2001, scomparso nel 2005. E’ tutto.

Luigia Borrelli è una quarantaduenne sarda trapiantata a Genova, ex infermiera, vedova di un uomo che aveva tentato di avviare un’attività, fallendo e lasciandola piena di debiti e con due figli. A quel punto nasce il suo alter ego, Antonella, nome di battaglia nella sua nuova veste di prostituta, in un basso di Vico Indoratori. Si dice che riuscisse a separare alla perfezione le due vite parallele e nel quartiere dove viveva, Marassi (zona stadio),  nessuno sapesse alcunché: per tutti, figlioli compresi, la donna, che girava sempre in leggins, faceva la badante. Il fatto che lavorasse di sera e notte non avrebbe insospettito nessuno, ma ne dubitiamo, sono vicende leggendarie sotto la lanterna: i caruggi proteggono, ma qualcosa trapela sempre.

Il 6 settembre 1995 Luigia non fa ritorno al domicilio ufficiale e partono le ricerche. Si contatta il numero di telefono da lei fornito per le emergenze come utenza della sua datrice di lavoro, ma è solo quello della ex “collega” che le affitta il triste abituro. Questa signora sa perfettamente come aprirlo, quando si imbatte nella saracinesca inspiegabilmente serrata con lucchetto, trovandosi davanti un televisore bloccato con mangianastri e una videocassetta porno inserita, sangue ovunque e il corpo di Antonella stretto in un angolo, uccisa a colpi di trapano (usato come fendente). Verrà indagato un elettricista, che si suiciderà per il disdoro e poi verrà dichiarato innocente. Suicida morirà anche la ex peripatetica tenutaria della stanzetta. Bocca di Rosa non è sempre così allegra e la storia non ha tuttora un colpevole.

Urbino è città bella e poetica, rinomata per l’Università, dove qualcuno sostiene che si è sempre battuto la fiacca, peggio che a Perugia, con più feste che lezioni tra tutti quegli studenti che vengono da ogni dove (ci si è laureato il figlio di Paolo Villaggio); ma altri ribattono che vi si studiava benissimo, protetti dal clima ovattato dei colli urbinati.

Sia come sia, Floride Cesaretti, 47 anni, sposata con due figli, sembra appagata dall’impiego di portiera nei collegi universitari, amica di tutti, gentile con gli ospiti. Il 27 novembre 1998, all’alba, il collega che le dovrebbe dare il cambio non la vede in guardiola, ma ne rinviene il corpo massacrato nel sottoscala dove lei riposava durante il turno di notte. Si ipotizza che sia stata attinta da badilate, si pesca un asciugamano sporco di sangue ( ma nessuna traccia nei dintorni innevati), si allude a una somma custodita alla reception, che avrebbe potuto far gola a qualche allievo sbalestrato. Nel tempo, si andranno a cercare soggetti di vario tipo che avevano gravitato nell’orbita dell’ateneo e del campus, compresi studenti stranieri, si guarderà a un sospettato morto di infarto proprio al funerale della donna (scagionato a posteriori), si preleveranno i loro DNA, ma non verrà fuori nulla.

Torre del Greco, 10 agosto 2009: gli anziani coniugi Sorrentino, Filiberto e Vincenza, vengono scoperti nella loro abitazione, massacrati a colpi di bastone ( si presume). A chiamare il 112 è uno dei figli, Maurizio, forbito ed elegante signore al momento, ma con un passato di simpatie nell’area rivoluzionaria extraparlamentare, che non depone a suo favore se le indagini punteranno dritto su di lui. Poiché non si concorda sul giorno dell’omicidio ( c’è un’alea di 4 giorni) e qualcuno assicura di aver visto quantomeno Filiberto in giro con estranei, mentre Maurizio era sicuramente altrove, ne esce un’assoluzione e per ora è tutto. 

Antonietta Giarrusso, detta Ninni, 65 anni, sposata con un uomo più grande, svolge un lavoro che le piace a Palermo, come titolare di un negozio di parrucche che lei stessa confeziona. Carattere forte, ma propenso ai contrasti, aveva questionato con una ex dipendente e con un cliente; di più, negli ultimi giorni si presentava, a detta di parenti, ombrosa e forse dolorante per qualche ecchimosi. Una somma interessante, sui 1500 euro, è rimasta dov’era, ma non la sua agendina,  come scoprono coloro che perlustrano l’esercizio, dopo l’allarme dato dal consorte, il 30 aprile 2012. La poveretta è stata stroncata nel retrobottega, a coltellate e forbiciate e per ora l’assassino è ancora libero.

Potremmo continuare, ma ci fermiamo segnalando due altri casi, Antonella Falcidia (1993) e Antonella Di Veroli (1994), riguardo ai quali potrete trarre nuovi approfondimenti di quest’anno,  sul canale web “Radio Caffè Criminale” a cui abbiamo collaborato.

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