Possiamo ancora parlare di democrazia al tempo dei social e dei (ro)bot?
Perché dei semplici attivisti, sostenitori, tifosi o come li volete chiamare, in questi giorni e in queste ore, hanno diffuso sondaggi palesemente farlocchi a favore di questa o quella forza politica, nonostante da due settimane sia in atto il divieto di pubblicazione, come da tempo accade prima di un turno elettorale a livello nazionale?
Per lo stesso motivo per cui anche le forze politiche impegnano risorse ed energie nel promuovere la propria immagine e quella dei propri leader sui profili social: la necessità di far credere alla gente che sono tantissimi ed entusiasti i sostenitori di questo o quel partito, di questo o quel politico.
I contenuti hanno lasciato lo spazio ai numeri e alla popolarità: followers e like "prima di tutto". Quindi far credere agli utenti che tanti sono coloro che hanno scelto questo o quel partito è fondamentale, anzi decisivo.
Una sensazione? No. Sarebbero i fatti a dirlo, anzi a dimostrarlo. In un proprio articolo di un paio di giorni fa, il sito Pagella Politica rende noto che è stata avviata un'inchiesta per analizzare i profili social dei sostenitori di forze politiche e politici del nostro Paese, prendendo spunto da una ricerca effettuata in Gran Bretagna, in base alla quale una parte dei profili dei sostenitori del partito pro Brexit di Nigel Farage sarebbe costituita da utenti fittizi, creati in modo automatico per sostenere lo Ukip ed il suo leader.
In una prima analisi, i profili Twitter di Movimento 5 Stelle, Lega, Partito Democratico, Forza Italia e Fratelli d'Italia mostrerebbero la presenza di utenti creati automaticamente, in percentuali che vanno dal 19% al 7%, per promuovere like, rimandi, brevi commenti.
Un'attività frenetica, ossessiva e ossessionata quella dei politici sui social... tanto che viene supportata da decine di persone che giornalemnte si occupano di effettuare video, postare contenuti, interviste, dichiarazioni... per promuovere che cosa? L'immagine, prima di tutto, in modo da supportare un consenso basato sui numeri, sui like, ma non sui contenuti.
Questi, oramai, vengono trattati dalle forze politiche solo in forma tautoligica. Vengono sempre espressi come corretti a prescindere, offerti come verità assolute. È raro che qualcuno cerchi di spiegare con numeri reali, riferimenti concreti, dati riscontrabili le proprie iniziative politiche, i nuovi provvedimenti...
Tutto viene accettato dai fanatici follower di questo o quel leader come verità a prescindere, perché lo ha detto tizio che ha tanti follower, perché qualche falso utente lo ha confermato, perché i cuoricini che inondano i video delle sue dichiarazioni sono migliaia.
E gli utenti veri ovviamente si adeguano, si uniformano al pensiero comune, in base alla convinzione che oggi va per la maggiore, in base alla quale la verità non è dimostrata dai fatti ma dal numero di persone che la supporta. Quindi, se tutti dicono che una cosa che è palesemente nera sia invece rossa, quella automaticamente cambia colore, pur rimanendo nera!
Così funziona oggi la democrazia postideologica che i vari partiti promuovono, urlando o sussurrando, minacciando o suadendo a seconda delle occasioni, a seconda delle necessità... il tutto senza che ciò provochi scandalo.
Anzi, lo scandalo è diventato far notare l'anormalità di questa assurda normalità.
Quella attuale è la democrazia al tempo dei social. Una democrazia fondata sui (ro)bot e sulla capacità di catturare il consenso in base all'ingenuità e alla disattenzione dei cittadini.
Paradossalmente, il diffondersi della tecnologia invece di fornire alle persone maggiori strumenti di conoscenza per una maggiore consapevolezza ed una migliore libertà di scelta, le ha rese schiave dei pifferai magici di turno, più di quanto in passato riuscisse a fare la televisione.
Stando così le cose, da chiedersi però se possiamo ancora parlare di democrazia.