Non si può negare che Papa Francesco non abbia le idee chiare sulle conseguenze tragiche che produce la corruzione e che non sia consapevole che le vuote parole pronunciate dai pulpiti non curano questo male così da buon apostolo si è rimboccato le maniche e il 19 maggio 2020 emanava un codice degli appalti per lo Stato Vaticano.

Nella lettera apostolica di divulgazione, riferendosi al fenomeno  affermava, testualmente: “(….) la corruzione può manifestarsi in modalità e forme differenti anche in settori diversi  da quello degli appalti e per questo le normative e le migliori prassi a livello internazionale prevedono, per i soggetti che ricoprono ruoli chiave nel settore pubblico, particolari obblighi di trasparenza ai fini della prevenzione e del contrasto, in ogni settore, di conflitti di interessi, di modalità clientelari e della corruzione in genere”. 

Per coerenza cristiana il Vaticano “(…) ha deciso di conformarsi alle migliori pratiche per prevenire e contrastare questo fenomeno nelle sue diverse forme”

aderendo alla convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione per questo il 26 aprile 2021 ha promulgato una legge ad hoc diretta alla dirigenza vaticana.

Coloro che hanno incarichi in Vaticano, dirigenti compresi, i capi dicastero o responsabili di enti e collaboratori amministrativi laici hanno l’obbligo di sottoscrivere, al momento dell’assunzione dell’ufficio e dell’incarico, una dichiarazione con la quale certificano di essere incensurati, di non aver subito condanne definitive, in Vaticano o in altri stati, di non aver beneficiato di indulto, amnistia o grazia, di non avere processi conclusi per prescrizione. Di non essere imputati in processi penali pendenti o a indagini per partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, terrorismo, riciclaggio di proventi di attività criminose, sfruttamento di minori, tratta o sfruttamento di esseri umani, evasione o elusione fiscale.

Dovranno inoltre dichiarare di non detenere, anche per interposta persona, contanti o investimenti o partecipazioni in società o aziende di paesi inclusi nella lista  delle giurisdizioni ad alto rischio di riciclaggio – a meno che i loro congiunti non siano residenti o domiciliati per comprovate ragioni familiari, di lavoro o di studio – dovranno inoltre assicurare, per quanto a loro noto, che tutti i beni, mobili ed immobili, di loro proprietà o anche solo detenuti, come pure i compensi di qualunque genere percepiti, provengano  da attività lecite. Altro significativo impegno morale viene dal non detenere partecipazioni o interessenze in società o aziende che operino con finalità contrarie alla dottrina sociale della chiesa.

A tutti i dipendenti della curia romana, dello stato della città del Vaticano e degli enti collegati, sarà tassativamente vietato accettare in ragione del proprio ufficio “regali o altre utilità” di valore superiore a 40 euro.

Riassumendo: tale normativa riguarda tutti i soggetti inquadrati nei livelli funzionali C, C1, C2 e C3 che vanno dai cardinali capi dicastero ai vicedirettori con contratto dirigenziale quinquennale e tutti coloro che hanno funzioni di amministrazione attiva giurisdizionali o di controllo e vigilanza.

L’organo preposto ai controlli sulla veridicità delle dichiarazioni dei dipendenti (che dovrà essere rinnovata ogni due anni) è la Segreteria per l’economia, in caso di dichiarazioni false o mendaci potrà procedere al licenziamento e a provvedere a richiedere un risarcimento danni ove ve ne fosse giustificato motivo.

A differenza di chi si preoccupa delle conseguenze che produce la corruzione sulle fasce deboli della società vi è il governatore della Campania che ha definito l’art. 323 del codice penale che contempla il reato di abuso d’ufficio una “norma medioevale” che limita il progresso economico e crea disoccupazione: ieri il consiglio regionale campano ha deliberato un disegno di legge da proporre al Parlamento per abolire tale "impedimento".

Pensate se vi fosse un Bergoglio al posto di Draghi, un secondo al posto di Bonomi e un terzo al posto di Mattarella.