A seguito del mio ultimo articolo sulla questione genitoriale LGBTQIA+ ho ricevuto un messaggio privato e molto cortese che mi poneva una questione rilevante, degna di essere approfondita. Lo faccio volentieri.

Il mio articolo si era soffermato ad analizzare il caso di un coppia di mamme che aveva avuto un problema con il documento d’identità della figlioletta, dove a causa del decreto “Salvini” sarebbe obbligatorio indicare anche il “padre”. Essendo due mamme, il giudice a cui si è rivolta la coppia ha giustamente disapplicato lo strano decreto. Ho poi voluto analizzare le questioni morali – bigotte quanto inesistenti – e concludere infine quanto fosse ipocrita un sistema che permette l’adozione e l’esistenza legale di coppie non etero, ma poi obbliga a “diciture” impossibili (implicitamente vessatorie) per identificare la coppia adottiva. Vi invito a leggere l’articolo che ho linkato sopra.

In apparenza, non avrei posto alcuna riflessione etica sul come si possa diventare genitori di un bambino pur essendo coppie di sole “mamme” o soli “papà”, ma anche come famiglia monogenitoriale. Dico “in apparenza” perché prestando la dovuta attenzione nella lettura dell’articolo si scorge bene il perno su cui poggiavano le mie considerazioni: «il rapporto tra rischio (psicologico) sull’ipotetico disordine di genere di un bambino adottato da coppia/omogenitore LGBTQIA+, rispetto al rischio (sempre psicologico) già misurabile del bambino che cresce in comunità» (sic!).

Parlavo, dunque, di adozione. E voglio premettere anche un bellissimo esempio, tra i tanti che potrei fare, che è quello di Luca Trapanese. Lui è assessore alle politiche sociali nel comune di Napoli, è omosessuale, single, e papà adottivo di una meravigliosa bambina che si chiama Alba. L’amore che è capace di donare a questa bambina lo potete percepire voi stessi visitando i suoi profili social, così come la serenità e la gioia che traspare nella bambina nel sentirsi evidentemente appagata e protetta da questo stimabile genitore. Una bambina che le coppie tradizionali non volevano adottare, perché affetta da sindrome di down.

Non contemplo forme diverse dall’adozione per una famiglia che non può avere figli, perché eticamente sarebbe oggi un macroscopico errore. Non rientra in questo contesto chi, pur non potendo avere figli in maniera naturale, è comunque una coppia che può generarli con l’aiuto della scienza. La cosiddetta fecondazione assistita all’interno della coppia stessa, e dunque senza mattoncini biologici fondamentali di “terzi”.
Invece, in tutto quello che è maternità o paternità surrogata, il problema etico è colossale e parte dal risolvere un primo equivoco: il “diritto” di essere genitore, che è anche il titolo di quest’articolo.

Questo diritto nasce nel momento in cui si diventa genitore, e non per il desiderio di volerlo essere a tutti i costi. 

Prima ancora di essere un diritto, è un dovere. Non esiste il diritto ad avere un figlio come pare e piace, purché abbia una manciata di geni graditi. Se non li ha, cosa cambia? Quindi si adotti.
Come dicevo si tratta di un problema etico colossale che peserà soprattutto sul nascituro. Sarà un figlio geneticamente “parziale”, ma non perché sia stato abbandonato o non voluto da uno o entrambi i genitori naturali, ma per un inspiegabile contrattazione egoistica della sua stessa famiglia: quella che l’ha progettato (uno dei genitori biologici), assieme a quella che l’ha venduto o regalato (l’altro genitore biologico). O comunque l’altra parte che ha semplicemente partecipato a svilupparne la vita. Non per errore, né per caso.

Oggi è solo così che le coppie omosessuali possono “generare” figli, qualora l’adozione non sia per loro una scelta accettabile. Ebbene, eticamente è inaccettabile la genitorialità surrogata.
In Italia non sarebbe possibile, per questo si va spesso all’estero. Si torna con il bambino, e se si tratta di una coppia il genitore non biologico adotta il bambino.

Ma quali sono questi problemi etici, o meglio bioetici?
Dovrebbero essere intuitivi, in quanto si tratta unicamente di osservare che una vita viene a determinarsi a causa di un arrogante atto di egoismo (e l’egoismo non è etico): si vuole un figlio “proprio” a  tutti i costi, e si usa il seme o l’ovocita di chiunque piuttosto che un utero in affitto.
Quanti figli potrà avere un “donatore” (rectius: venditore) di sperma o di ovociti? E la stessa domanda possiamo farla alle donne che usano affittare la propria strumentazione riproduttiva (persone, di solito, sfruttata nella miseria e povertà dei loro paesi). Magari quei figli, tra loro ignari fratelli, s’incontreranno, innamoreranno, e sposeranno, incasinando il loro già incasinato patrimonio genetico. O semplicemente si riconosceranno, e anche questo è accaduto (Corriere della Sera, 22/01/2014).

Esistono anche le implicazioni psicologiche dei figli così “generati”. Ci sarà il momento in cui verranno a sapere – ed è un loro diritto – di questa deriva etica dei loro genitori. Chiediamoci in che misura vorranno accettare la “programmazione” che nel frattempo sarà stata impartita dai loro genitori per rendere accettabile l’”atto d’amore” depurato dall’evidente e grossolano egoismo. Una programmazione destinata a fallire o determinare confusione, e comunque causare sofferenza a un figlio che probabilmente troverà più validità nell’etica della specie, piuttosto che a quella alternativa (morale soggettiva) che il genitore biologico avrà provato a inculcargli. E sarà sofferenza per tutti.

I bambini diventano persone. Esseri pensanti e autonomi. E tutti vorremmo formarli proprio così: pensanti e autonomi, e non brutte copie di ciò che siamo. Dunque non sarà facile convincere il bambino che diventa un adulto pensante.

Gli aspetti etici sono davvero tanti, e nemmeno limitati alle sole vite progettate e incolpevolmente gravate; non a caso ho voluto usare l’aggettivo “colossale” a precedere il problema etico. Anche gli stessi donatori e affittuari risentono di problemi di stabilità psicologica nel tempo, e giacché ci siamo la maggior parte di essi non ha stabilità nemmeno prima. Un “donatore” pare che presenti personalità spesso instabile e nevrotica, poco soddisfatta di se stesso e talvolta usa la donazione del proprio seme come esibizione della propria forza (potenza virile). E non è molto differente per la donna. Si apprende questo e tanto altro anche attraverso letture divulgative come “Un figlio ad ogni costo” (Luciano Ragno, 1984), che rappresentano un ottimo compendio delle implicazioni bioetiche e scientifiche attorno a questo tema. E qui la religione non ha alcun peso o rilievo.

Instabilità, nevrosi, narcisismo, egoismo, avidità, mancanza di scrupoli. Questo è il patrimonio genetico che si decide di somministrare a un figlio che porti anche qualche lembo della propria impronta (già anch’essa egoistica).

Credo ci si possa fermare qui, sperando di essere stato sufficientemente esauriente, benché sintetico, per il lettore che mi ha cortesemente sollecitato. Sono contento che sia emersa questa eventuale discrasia nel mio precedente articolo, perché mi ha concesso la possibilità di chiarire un aspetto molto importante, nel mio continuare a essere comunque dalla parte dell’Amore che non può avere confini nel manifestarsi: tanto nella famiglia tradizionale, quanto in qualunque single o coppia composta da qualunque genere e preferenza sessuale, che decida di adottare, accudire ed educare al bene un bambino. Ma non certo a “generarlo” in surrogato!


Base foto: Gerd Altmann da Pixabay