Il linguaggio colorito della Littizzetto oramai lo conosciamo tutti, un lessico a cui noi italiani siamo abituati e che s’intona perfettamente con il personaggio, esprimendo tratti comportamentali non sempre condivisibili da chi, purtroppo, come me, è ancora amante della buona educazione. Certo, se tale patrimonio lessicale la Littizzetto lo dissipasse a casa sua piuttosto che in una televisione pubblica e in prima serata, -quando le persone magari stanno cenando e hanno i bambini a tavola-, pur consapevoli della grave perdita, gran parte dei telespettatori gliene sarebbe riconoscente. D’altronde, per la Littizzetto, alcuni termini inverecondi sono stati il bastone della sua carriera, quelli sui quali, cioè, ha creato il suo stile comunicativo, la sua dialettica artistica e indubbiamente il suo successo, insomma dei veri e propri “intercalari” a sostegno dei suoi monologhi “nazional-popolari” che tanto fanno ridere Fabio Fazio che gli fa da “spalla” e il pubblico (in studio, ovviamente) della trasmissione televisiva “Che tempo che fa” da lui condotta su Rai1 e dove puntualmente tutte le domeniche sere si ripete lo stesso teatrino. Un linguaggio quello della Littizzetto che, se certamente non rende orgogliosi della sua laurea in lettere l’Accademia della Crusca, quantomeno serve a caratterizzare il personaggio, a farcelo vedere per quello che è realmente senza bisogno di scomodare Freud. Il suo primo libro pubblicato nel 1999 e intitolato “L’agenda di Minchia Sabbry”, era di fatto propedeutico e premonitore del talento comico e letterario che avrebbe in futuro invaso le nostre case.
La disinvoltura della Littizzetto davanti alle telecamere è davvero sorprendente riuscendo a mescolare abilità comunicativa a movenze fisiche ed espressive e dando chiara l’idea della supervalutazione che essa ha, oltre che delle sue capacità artistiche, anche del suo aspetto esteriore. I movimenti sinuosi delle sue gambe vestite di calze nere velate, che a tratti, pudicamente, lasciano intravedere punte di biancheria intima, oltre ad abbellire la scrivania-acquario del conduttore, stimolano l’immaginazione collettiva dei telespettatori, che mai come in quei momenti tornano ad apprezzare le doti fisiche delle loro consorti. Ma lei ovviamente non lo sa, anzi, a giudicare dall’insistenza, deve essere convinta di ben altro. Se pensate che stia esagerando, sappiate che nel 1999 (è il suo anno fortunato) la Littizzetto, forte delle sue convinzioni, si concesse ad un servizio fotografico sexy alla rivista Max. In molti, compreso me, pensarono erroneamente che si trattasse di un servizio fotografico comico. Di quell’esperienza, certamente positiva per il miglioramento della sua autostima, la Littizzetto, oltre al ricordo, ha conservato il suo atteggiamento da vamp. Purtroppo, però, nonostante ce la metta tutta, quello che lei crede essere il fascino di una femme fatale, a chi come me ha una visione distorta dello charme femminile, piuttosto che suscitare pensieri erotici e libidinosi, fa venire in mente “il brutto anatroccolo” di Andersen, ma solo per la tristezza che mette, ovviamente.
Ora, senza entrare nel merito della sua attività artistica, ciò che disturba di questo personaggio e che abbia scambiato la Rai, quindi la televisione di Stato, come il luogo ideale per dare lezioni di politica, di economia, di civiltà (tra l’altro senza avere né meriti, né competenze) offendendo i telespettatori e usando un linguaggio scurrile e improponibile: un excursus di volgarità che definire vomitevole è poco. Se tutto ciò accadesse in una televisione privata si potrebbe anche tollerare, ma che avvenga nella principale TV di Stato, pagata dai contribuenti italiani, è cosa assai grave e dimostra come quello che dovrebbe essere un bene comune, un servizio a favore di tutti i cittadini, venga in realtà manipolato da un sistema politico settario e fazioso che gestisce la cosa pubblica come fosse una proprietà privata. Se così non fosse, la Littizzetto sarebbe stata già cacciata via da tempo, anzi, forse non l’avrebbero neppure fatta entrare.
Sono ormai tante le puntate che hanno suscitato polemiche tra i telespettatori che da ogni parte d’Italia incalzano lamentando comportamenti irriverenti nei loro confronti e un linguaggio da parte della Littizzetto, insopportabile e sempre più ributtante. Clamorosa la puntata dell’ottobre 2015 in cui durante uno dei suoi monologhi la Littizzetto attraverso una fantasiosa metafora paragonò Il Movimento 5 Stelle a dei “pezzi di cacca” e quindi ad “un movimento di pancia” (offendendo in un colpo solo 9.000.000 di persone che l’avevano votato), cosa che portò un gruppo di attivisti pentastellati a promuovere una petizione, tramite raccolta di firme online, per denunciare l’accaduto e fermare in qualche modo la comica torinese. “Secondo noi ogni comico è libero di esprimere il proprio pensiero e di farlo in modo libero”, fu scritto allora sul blog di Beppe Grillo. “Siamo in prima linea per la libertà di stampa. Ma le offese sono altra cosa. Questa figuraccia ci richiede una riflessione: che cosa vogliamo dal servizio pubblico? Perché pagare il canone? Per farsi chiamare pezzi di cacca?”.
E ancora nella puntata del 7 gennaio scorso, la Littizzetto, nel portare avanti il suo siparietto settimanale continua imperterrita a sparare raffiche di volgarità; analizza il significato della parola “suca” (termine dialettale per indicare un rapporto orale): “Una studentessa di Palermo ci ha fatto una tesi, ora si potrebbe anche farci un balletto, il “suca suca”; prendere 110 e lode per un “suca” non è male; devo dire che tante persone hanno anche avuto un seggio in Parlamento per un “suca”…” . Poi, cambiando argomento, parla dei sacchetti ecologici a pagamento per frutta e verdura: “Ti metti quel guantino di merda che non riesci mai a metterlo…”; e via ancora con gli indecenti doppi sensi su sedani e cetrioli e un cumulo di frasi impronunciabili del tipo: “Cosa volete anche una fettina di culo?..”. E anche qui le sue volgarità hanno suscitato una reazione da parte del Moige (Movimento Italiano Genitori) il quale, indignato, chiede pubblicamente a Rai1 di prendere provvedimenti disciplinari nei confronti della comica: “Questi termini non ci sembrano adatti sulla Rai e a maggior ragione sulla prima rete che per eccellenza è quella delle famiglie. Il suo linguaggio non è adatto alla rete e all'orario. La parolaccia ci può scappare nella battuta, non siamo dei bacchettoni pronti a puntare il dito. Il problema è quando diventa il centro dello sketch o il modo normale di interloquire in televisione. Un tempo la TV insegnava la lingua italiana ora l'involgarimento”.
La Littizzetto, però, sembra presa da una coazione irrefrenabile a pronunciare parolacce, a creare frasi usando un linguaggio sempre più scurrile; e così va avanti nei suoi sketch televisivi passando da una domenica all’altra. Nella puntata del 21 gennaio scorso per dieci minuti ininterrotti disserta sui “rutti”: “I ricercatori Nasa hanno scoperto che i buchi neri ruttano… Dopo i baci stellari ci sono i rutti stellari, ruttano perché mangiano, quindi anche loro digeriscono…”. Ma è nella recentissima puntata del 12 marzo che la Littizzetto supera se stessa, e ipotizzando le difficoltà del Presidente per le possibili alleanze politiche dopo i risultati elettorali dice: “Mattarella, piuttosto che fare le consultazioni berrebbe un bicchierino di merda…”. Una frase così ripugnante (oltre che irrispettosa nei confronti della prima carica istituzionale del Paese) che solo a sentirla fa venire il voltastomaco. Viene proprio da chiedersi da dove la tiri fuori tutta questa sconcezza, neanche fosse stata cresciuta in una fossa biologica… Se poi a tutto ciò aggiungiamo che “Lucianina” come la chiama Fazio, prende ventimila euro a puntata per il suo intervento di circa dieci minuti, ovvero 80.000 euro al mese per complessivi 40 minuti di grossolana trivialità, allora capiamo in quale mani è finita la Rai e in che modo vengono impiegati i soldi che i cittadini pagano per il canone.