Salute

Verso una riforma della Medicina Generale: il medico di base dipendente per migliorare l’assistenza territoriale

Di Vincenzo Petrosino - Salerno - 

Non credo che la dipendenza possa essere la soluzione per la sanità. Il rimedio potrebbe essere peggiore del male.  Al momento non è la dipendenza o la convenzione il problema, ma esclusivamente la mancanza di tali figure nell'ambito della Sanità. Si potrebbe ottenere l'effetto opposto come sta accadendo nei vari pronto soccorso Italiani. Tra l'altro conoscendo le stanze Romane credo che manchi in realtà la presenza di " consulenti " esperti del territorio e della sanità pubblica vissuta. Questo è uno dei motivi che mi ha sempre fatto pensare che alla sanità non può esserci un cattedratico ma qualcuno che conosce per esperienza vissuta sul campo le diverse realtà della sanità...diciamo  di base... già oggi ammazzata da burocrazia infinita e ricca di burocrati scaldasedie a pagamento ! Purtroppo Roma fa orecchie da Mercante...e pensa di andare avanti.... Ho  inviato una nota al collega  che regge il Ministero  e spero in una cortese risposta.

Quando si prospetta la dipendenza dei medici di medicina generale  si semplificano problemi complessi e si distoglie l'attenzione.

Il MMG è sì un “libero” professionista convenzionato con degli obblighi precisi, stabiliti da un accordo collettivo nazionale (ACN), ma proprio per questo gestisce autonomamente, ed include nel proprio budget, i fattori di produzione della propria attività:
1 i locali e le attrezzature (lettino e frigorifero, per citare i più semplici)
2 le utenze dello studio medico
3 i supporti informatici, compresi computer e stampanti
4 i dipendenti amministrativi e il collaboratore infermieristico
5 i mezzi per effettuare l’attività domiciliare.

I mmg non maturano ratei (tredicesima, quattordicesima, TFR, ferie e permessi non goduti).

Proporre la dipendenza come soluzione rischia di essere la banalizzazione più semplice per chi non conosce bene il tema, ma lancia campagne di stampa.

È evidente che non è stata recepita la lezione degli ospedali che si stanno svuotando.

Nè è stato compreso lo stato di sofferenza della medicina generale, basta vedere i tassi di abbandono dei giovani medici del corso di formazione specifica.

O, peggio, forse è stato recepito, ma lasciare un sistema malfunzionante potrebbe fare il gioco di altri attori sanitari?

Le case di comunità e gli obblighi del PNRR sembrano il fulcro delle preoccupazioni della parte pubblica, che probabilmente non immagina altra miglior soluzione per riempire le strutture finanziate dai fondi europei, se non di variare il rapporto di lavoro con i MMG.

È quello che succede quando si programmano i contenitori prima dei contenuti.

Viene infine il dubbio, ma solo il dubbio, che lo stato florido della cassa pensione ENPAM possa far gola, a fronte di un’INPS in grave sofferenza.

L’idea è migliorare l’offerta per i cittadini a livello territoriale con i medici di famiglia che lavoreranno nelle Case di comunità e nei Cot, le centrali operative territoriali. I Medici di famiglia saranno assunti dirattemente dal Servizio sanitario Nazionale per lavorare sul territorio dove saranno poi assegnati nelle 1400  Case di Comunità.

Il governo italiano sta lavorando a una significativa riforma del ruolo dei medici di base, che potrebbe trasformare radicalmente il sistema di assistenza territoriale. Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, l’esecutivo sta elaborando una proposta di legge che introdurrebbe una nuova figura contrattuale per i medici specializzati in Medicina generale: da liberi professionisti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i medici di base potrebbero diventare dipendenti del sistema sanitario.

La proposta prevede due opzioni per i medici di famiglia: i nuovi ingressi nel sistema sarebbero assunti come dipendenti, mentre chi è già in libera professione potrà scegliere di mantenere il regime convenzionale, a patto di garantire tra le 14 e le 16 ore settimanali per la Sanità territoriale.

L’obiettivo principale è potenziare l’offerta sanitaria locale, facendo leva su strutture come le Case di comunità e le Centrali operative territoriali (Cot). Queste realtà rappresentano il fulcro della Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che punta a rafforzare l’assistenza territoriale entro il 2026.

Ad oggi, l’implementazione delle Case di comunità presenta importanti ritardi. A fronte di un obiettivo di 1.350 strutture attive entro il 2026, al 30 giugno 2024 ne risultavano operative solo 413, poco più di un terzo del totale previsto. Lombardia ed Emilia-Romagna guidano la classifica con rispettivamente 136 e 123 Case di comunità attive, seguite da Veneto (62) e Toscana (35). Al contrario, in dieci regioni – tra cui Campania, Puglia e Lazio – non è ancora stata attivata alcuna struttura.

Questa disparità evidenzia una sfida significativa per garantire un’assistenza sanitaria capillare su tutto il territorio nazionale.

Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha ribadito l’importanza di questa riforma per garantire la sostenibilità del sistema sanitario. In una dichiarazione di settembre, Schillaci ha sottolineato: “Nessuna vera riforma sanitaria può avere speranza se non si rivede il ruolo svolto dai medici delle cure primarie”.

La riforma punta non solo a migliorare la disponibilità di cure a livello locale, ma anche a ridurre la pressione su ospedali e pronto soccorso. I medici di famiglia, in questa nuova configurazione, diventerebbero il primo punto di riferimento per le richieste di salute dei cittadini, contribuendo a una maggiore efficienza del sistema sanitario.

Il passaggio da un modello basato sulla libera professione a uno che prevede l’assunzione diretta dei medici di base non è privo di sfide. Le regioni, attualmente in dialogo con il governo, dovranno adattarsi a un sistema che prevede una gestione più centralizzata dei medici di famiglia. Allo stesso tempo, la creazione di un rapporto di lavoro dipendente potrebbe attirare più giovani professionisti, garantendo una maggiore stabilità occupazionale e condizioni di lavoro più strutturate.

Tuttavia, per garantire il successo della riforma, sarà fondamentale accelerare la realizzazione delle Case di comunità, con particolare attenzione alle regioni attualmente prive di strutture, garantire una distribuzione omogenea dei medici sul territorio nazionale, evitando che le regioni più in ritardo rimangano indietro e assicurare risorse adeguate per sostenere l’assunzione di nuovi medici e l’operatività delle nuove strutture.

Autore Vincenzo Petrosino
Categoria Salute
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