Dopo decenni, lo scorso 10 ottobre è riapparso un altro scomodo fantasma del passato: erano trascorsi 60 anni dalla strage del Vajont e risentire le voci di chi era stato colpito da quella immane tragedia appena accaduta ha evocato in me il vivido ricordo del volto di una giovane donna ritratta nell’immobilità della morte: sembrava dormisse. Ero un’alunna delle scuole elementari e quando accadde quella tragedia in ogni classe furono portati dei libretti che illustravano in immagini l’immane tragedia accaduta, ogni famiglia contribuì alla raccolta dei fondi per soccorrere le popolazioni colpite acquistando quel “documento storico” che oggi non ricordo più che fine abbia fatto e con lui il ricordo di quell’apocalisse annunciata.

Ho sentito il dovere di approfondire per mio conto quella vicenda, leggendo la cronaca degli anni ’60, in particolare gli articoli della giornalista Tina Merlin che subì addirittura un processo per aver "profetizzato" la sciagura prima che accadesse raccogliendo le testimonianze e le preoccupazioni degli abitanti della valle che conoscevano i loro territori, le strutture geofisiche delle montagne: conoscenze antiche che erano state trasmesse dai genitori ai loro figli e che si riflettevano nei nomi dati a monti e valli: Vajont - che scivola giù – per indicare un terreno franoso che ha formato la valle; Toc- pezzo - che cade a pezzi. Nei nomi erano racchiuse le caratteristiche degli elementi naturali che compongono i luoghi dove dovevano vivere e lavorare ma la voce della saggezza viene irrisa e ignorata.

Quei territori vengono sistematicamente rapinati, sfigurati e sacrificati alle nuove esigenze della classe latifondista che stava abbandonando un’economia agricola per adeguarsi alle scelte industriali in atto in alcuni paesi europei come l’Inghilterra e la Germania.

A distanza di decenni ci si accorge che il Gotha economico esclude i cittadini dalle decisioni che li riguardano, li tengono all’oscuro dei pericoli che li minacciano, per poi presentare l’enorme conto in vite e beni distrutti alla collettività invece di orientare le loro scelte ponendo al primo posto valori comuni e non opache collusioni con interessi personali. Attualmente lo stesso Gotha economico - ormai affermato e attivo a livello mondiale – combatte affinché non vada affermandosi più profondamente la consapevolezza che la difesa dell’ambiente è indispensabile e cerca di affossare con ogni mezzo e sin dall’inizio lo svilupparsi di una resistenza più decisa ed incisiva contro tutto ciò che viene imposto ai cittadini escludendoli dal processo decisionale che li riguarda e li investe direttamente e profondamente spesso recando loro un grave danno.

Dopo i duemila morti del Vajont; ci fu la diossina di Seveso; le vittime per tumore delle fabbriche chimiche della Liguria e di Porto Marghera; il disastro ambientale, economico e sanitario  prodotto dall’ex ILVA di Taranto; i morti per la colata di fango a Sarno; il crollo del ponte Morandi; l’inquinamento deliberato e criminale delle terre dei fuochi che ha trasformato un’intera regione in una bomba ecologica con effetti imprevedibili e danni per la salute umana e la natura gran parte della quale ormai irrecuperabile; il progredire del magma nella zona dei Campi Flegrei che rappresenta un altro disastro annunciato e quante altre piccole e grandi tragedie avvengono ogni giorno tra l’indifferenza di gran parte degli abitanti di questo sfortunato Paese.

Ritorniamo indietro nel tempo, al momento della nascita della SADE. Questo “stato nello stato” fu fondato da Giuseppe Volpi futuro conte di Misurata e dal conte Ruggero Revedin il 31 gennaio 1905 a Venezia «per la costruzione e l'esercizio di impianti per la generazione, trasmissione e la distribuzione di energia elettrica in Italia e all'estero». Ruggero Revedin e Amedeo Corinaldi ne furono i primi presidenti e Giuseppe Volpi, inizialmente consigliere delegato, ne divenne presidente dal 1912.

La SADE inizia con modeste acquisizioni di impianti di produzione e distribuzione preesistenti in Friuli e Veneto. Con l'aumento del capitale, portato a 4 750 000 lire nel novembre del 1905, la nuova società dà l'avvio al suo programma con l'acquisto nelle provincie di Bari e Padova di alcuni gruppi di impianti di produzione e distribuzione, tra cui l'impianto idroelettrico del Caorame (affluente del Piave) della potenza di 300 kW.

Il primo conflitto mondiale che interessò proprio le zone di attività della SADE, con la disfatta di Caporetto provocò gravi danni alla società che tra il 5 e l'11 novembre 1917 perse le sue maggiori fonti di energia, situate nel territorio occupato dal nemico. 

“Le poche centrali idroelettriche rimaste in esercizio (il cui nucleo principale è dato dagli impianti dell'Adige) ed i collegamenti per quell'epoca arditi, realizzati a tempo di primato tra le reti della Romagna e le reti marchigiane e tra gli impianti dell'Adige e gli impianti lombardi, consentono di apportare, capovolgendo in certo qual modo il sistema di produzione e di trasporto fino allora in atto, un servizio sufficiente ai principali bisogni della zona di operazioni, servizio che tra crescenti difficoltà prosegue fino alla battaglia di Vittorio Veneto, nel novembre 1918”. 

Dal 1936 al 1943, per far fronte al sempre crescente fabbisogno di energia, tenuto conto delle caratteristiche della zona di distribuzione, la SADE costruisce gli impianti di Medio Cordevole, la diga del Ghirlo con le centrale di Cencenighe, Agordo e La Stanga, gli impianti dell'Isonzo, la centrale di Doblari e di Sorio Nuova sull'Adige, in sostituzione ed ampliamento delle vecchie centrali di Colombarolo e Sorio Vecchia. Si iniziano inoltre i lavori dell'impianto Lumiei-Alto Tagliamento e quelli preparatori dell'impianto Piave-Boite-Mae-Vajont, destinato a divenire il più importante della SADE. Ma per la seconda volta nel giro di pochi anni la SADE si trova a subire direttamente le conseguenze di un'altra grande guerra. 

“Nel luglio e settembre 1943, gli avvenimenti politico-militari impongono variazioni e riduzioni nei programmi di lavoro tuttavia, per quanto consentito dalle eccezionali circostanze, continuano quelli dell'impianto Lumiei-Alto Tagliamento. Le operazioni belliche investono in vario modo tutte le zone della SADE, dalla linea gotica alle Alpi. Aumentano di giorno in giorno le distruzioni e i danni agli impianti di produzione e distribuzione e conseguentemente le difficoltà per assicurare un regolare e continuo servizio”.

Nel 1955, al suo cinquantesimo anno di vita, la consistenza tecnica ed organizzativa della SADE comprende buona parte delle aziende del settore: Idroelettrica, Servizio Primario, di Distribuzione Cellina, Elettrica Euganea, Elettrica Padana, Elettrica Val Brenta, Elettrica Veneto Centrale e le Società Consociate: Bellunese per l'Industria Elettrica, Bolognese di Elettricità, Priulana di Elettricità, Elettrica Interprovinciale, Elettrica Romagnola, Anonima Elettrica Trevigiana, Elettrica della Venezia Giulia e Termoelettrica Veneta. La SADE è inoltre largamente interessata nelle Società Idroelettrica Medio Adige (SIMA), Idroelettrica del Grappa, Elettricità Ponale ed Idroelettrica dell'Alto Savio. 

L'organizzazione della SADE comprende 7 000 lavoratori, dei quali, 100 dirigenti, 2 700 impiegati e 4 200 operai. Tra le molteplici istituzioni assistenziali vanno ricordate: la colonia alpina «Vena d'Oro» a Ponte nelle Alpi e le sue colonie marine al Lido di Venezia e a Marebello di Rimini, capaci complessivamente di 1 800 ospiti all'anno. Le provvidenze hanno consentito l'assegnazione al personale di oltre 1 500 abitazioni, fornite direttamente o tramite convenzioni con Enti Immobiliari (Istituti Autonomi per le Case Popolari delle varie provincie e piano INA-Casa). 

Nel 1956, viene completata la diga di Pontesei sul Maè. Entra in funzione la centrale di Malga Ciapela, alimentata dal serbatoio della diga di Fedaia. Nel 1957, si dà inizio ai lavori per la costruzione di due dighe: la diga del Vajont, tra le provincie di Udine e Belluno, e la diga del Mis, nel comune di Sospirolo. Nello stesso anno, la SADE, diede inizio alla costruzione di una nuova sede operativa, edificando sul Rio Nuovo a Venezia, un palazzo in vetro e cemento che rappresenta il moderno simbolo di potere. Il suddetto canale, per due terzi all'aperto e per il resto in galleria e in sifone, sbocca nel Piave all'altezza di Nervesa della Battaglia. 

“Così si è pervenuti a una più elastica e regolare alimentazione, con congruo aumento di dotazione, del Consorzio Canale della Vittoria, eliminando le gravi perdite lungo I'alveo del Piave nel percorso fra lo scarico di Soverzene e Ia presa di Nervesa. La nuova sistemazione è inoltre collegata con l'aumento di competenze di altri Consorzi irrigui che sono stati tutti avvantaggiati dalla costruzione del Canale Castelletto-Nervesa. 

Nel 1959 iniziano i lavori di costruzione del canale Castelletto-Nervesa. Lungo oltre 20 km, parte a valle dallo scarico della centrale di Castelletto in funzione dal 1923 nei pressi di Piave-Santa Croce. 

Nel 1960, sono terminate le dighe di Vodo di Cadore, sul Boite, e del Vajont sul torrente omonimo. Viene messa in funzione la centrale di Pontesei, alimentata dal serbatoio di Vodo, andando così ad incrementare la produzione della centrale di Gardona. Sempre nello stesso anno, viene terminata la diga di Busche, e messa in funzione la centrale di Quero. Nel 1961, entra in funzione in relazione al canale Castelletto-Nervesa la centrale di San Floriano Nuova, nei pressi di Vittorio Veneto, “dotata di un gruppo a "bulbo" composto da una turbina Kaplan e alternatore ad asse orizzontale completamente sommersi, della potenza efficiente di 9000 kW”. 

Si completa la costruzione della galleria di by-pass sul Vajont. 

Nel 1962 si termina la costruzione diga del Mis, e il canale Castelletto-Nervesa. Entra in servizio la centrale del Colomber, presso la diga del Vajont. 

A livello operativo, la SADE era articolata in servizi, ciascuno con le proprie competenze e una propria direzione, immediati riporti di due distinti direttori generali.  

Per le scelte tecniche, sia di gestione del sistema idraulico, sia di produzione di energia elettrica e di distribuzione, questa società elettrica rimase sempre all'avanguardia, non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo. La SADE diversificò i propri investimenti ed in particolare assunse il controllo di alcune società gestrici di acquedotti, come la Società Acque Potabili di Torino e la Società dell'Acqua Pia Antica Marcia di Roma 

Con la legge del 6 dicembre 1962 n. 1643, tutte le imprese elettriche vennero nazionalizzate, diventando proprietà dell'Enel (Ente Nazionale Energia Elettrica). La nazionalizzazione innescò un processo di differenziazione finanziaria e operativa delle varie società elettriche interessate. La SADE venne successivamente travolta dalle vicende giudiziarie conseguenti alla tragedia del Vajont e giunse alla fusione con la Montecatini

Non a caso ho riportato il progressivo sviluppo di questa società che iniziò con un capitale di 300 000 lire suddiviso in 3 000 azioni da 100 lire ciascuna. Questa impresa fu la forza propulsiva che fornì la base tecnica indispensabile per la trasformazione sociale del Veneto da agricolo a industriale.

Ma solo guardando tra le pieghe della tragedia della diga del Vajont emerge con chiarezza il prezzo fatto pagare per questo “progresso” alle popolazioni locali. 

Il Vajont, non a caso, è il sinistro vessillo di una mentalità feudale e antidemocratica, che sacrifica la vita e la dignità dei più deboli agli egoistici obiettivi di pochi e alla soddisfazione della loro vanagloria; è l’altare dove si celebra l’osceno rituale ipocrita della fatalità che lava ogni responsabilità e che permette di approfittare ulteriormente di coloro che hanno perduto tutto, per togliergli anche la speranza. 

La sommersione di tanti terreni fertili del fondovalle, l’accaparramento delle maggiori risorse idriche avevano causato l’impoverimento della produzione agricola e dell’allevamento.

“A valle delle dighe, fiumi e torrenti si riducono a greti sassosi senza un filo d’acqua, soggetti ad interrarsi sempre più e a provocare straripamenti e alluvioni nei momenti di piena.  La denuncia più forte e più sentita rivolta contro la SADE è quella di avere instaurato un’economia di rapina, di tipo coloniale, spoglia la provincia delle sue risorse naturali e le sfrutta per produrre enormi quantità di energia da ‘esportare’. 

Miliardi di chilowattora prodotti nelle vallate bellunesi vengono portati a centinaia di chilometri di distanza. Attorno alle grandi centrali non si sviluppa una sola industria. Crescenti masse di manodopera sono costrette all’emigrazione. Neanche quella parziale riparazione costituita dalla ‘legge sui sovracanoni’ viene rispettata. Per anni e anni la SADE – come le altre imprese elettriche nel resto del Paese – rifiuta di pagare ai Comuni rivieraschi dei bacini idroelettrici montani i modesti contributi previsti da una legge del Parlamento. All’impoverimento economico si aggiungono altri gravi dissesti.”

Il 4 novembre del 1960 si verifica una frana di circa 30 milioni di mc. di montagna, la giornalista Tina Merlin che aveva scritto molti articoli raccogliendo le testimonianze degli abitanti dei luoghi (per questo subì un processo penale per diffusione di notizie false ed allarmanti dal quale uscì assolta) scrive: “Si era quindi nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l’esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri, non possono certo rendere tranquilli.” Siccome non era il caso di trascinare di nuovo dinanzi al giudice penale una cronista onesta e coraggiosa, il comandante del Gruppo Carabinieri di Udine questa volta provvede ad inviare un rapporto al prefetto riducendo la portata della frana del 4 novembre a soli 100 mila mc. scrive infatti: “(…) si tratta di allarme e di pericolo di portata assai limitata, che sono stati esagerati dalla stampa. Ciò anche tenuto conto che frammenti del genere hanno una certa frequenza” e conclude lapidariamente: “L’esagerato allarmismo con cui sono stati trattati i fatti trova riscontro nelle note manovre di speculazione politica a opera dei partiti di estrema sinistra”.

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Crediti immagine: Frana 4-11-1960.jpg - Wikimedia Commons