Esattamente un mese dopo che gli elettori hanno espressi nelle urne i loro voti, il Capo dello Stato ha dato finalmente il via al primo giro di consultazioni per la formazione del nuovo governo.

Due giornate inconcludenti, terminate con un buco nell’acqua come avrebbe facilmente previsto perfino il mago Otelma che non ne azzecca mai una.

Un mese perso, gettato alle ortiche senza preoccuparsi che il Paese sia in stallo, attenzionato speciale dai mercati e dai vertici dell’UE, con la urgenza di porre riparo alle dolenti eredità dei governi  Renzi-Gentiloni, con un debito pubblico che continua inesorabilmente a crescere, e via discorrendo.

Una situazione post voto non facile, resa più problematica dagli effetti di:

1. una legge elettorale scientemente pensata dal suo autore, Ettore Rosato, e dal suo mandante, Matteo Renzi, per rendere ingovernabile il Paese se non attraverso inciuci di palazzo tra i capibastone dei partiti;

2. una forse inattesa, ma sicuramente chiara ed incalzante domanda di radicale cambiamento espressa dagli italiani che con il loro voto hanno scompaginato il quadro politico;

3. un atteggiamento attendista e non risoluto del Capo dello Stato.

In uno scenario così critico, come prevede la liturgia costituzionale, nei due giorni si sono incamminate verso il Quirinale, una dopo l’altra, le delegazioni delle forze politiche presenti in Parlamento.

Dopo i presidenti di Senato e Camera e l’emerito ex Giorgio Napolitano, la processione è proseguita con la deprimente partecipazione dei gruppi patchwork di Camera e Senato, i cosiddetti gruppi misti.

Uno spettacolo triste, messo in scena da una pluralità eterogenea di soggetti, ognuno di fatto in rappresentanza solo di se stesso, messi insieme unicamente dai regolamenti parlamentari.

Questi gruppi patchwork, formati da individui solitari e perdenti, mi ricordano molto il furgone-ramazza che nelle corse ciclistiche ha il compito di raccogliere i corridori, ultimi e distaccati, che mai potrebbero raggiungere il traguardo con i loro mezzi.

Eppure, anche loro occupano uno scranno alla Camera o al Senato, godono delle prebende e dei privilegi della casta, e di tanto in tanto danno il loro contributo ai lavori parlamentari.

Dopo i gruppi misti la processione è proseguita con le delegazioni delle formazioni politiche rappresentate in Parlamento.

Come vuole il cerimoniale si è proceduto con il gruppo parlamentare meno numeroso (FdI) seguito, via via, da PD, FI, Lega, per concludersi con la delegazione del M5S, cioè i gruppi parlamentari più numerosi sia alla Camera che al Senato.

Dopo l’incontro con il Capo dello Stato le delegazione hanno fatta la passerella davanti a cronisti, microfoni e telecamere, dove mai come in questa occasione si sono esibite in una sagra di dichiarazioni nebulose quanto scontate.

Meloni, per FdI, ha insistito sulla compattezza della coalizione di CdX, così unita e compatta da presentarsi al Quirinale, però, in ordine sparso.

Martina, per il PD, ha ripetuta la stucchevole rivendicazione del “come siamo stati bravi” in questi anni, confermando di non avere capito nulla della dura lezione del 4 marzo e ventilando il ritiro sull’Aventino.

Berlusconi, ammesso alle consultazioni solo per amabile concessione del presidente Mattarella dal momento che non è un parlamentare eletto e che, oltre ad essere già un pregiudicato è ancora imputato in processi penali, ha vaneggiata come fondamentale la partecipazione di FI ad un governo con Salvini premier, nonostante quel modesto 14% ottenuto il 4 marzo releghi, di fatto, FI al penultimo posto nella classifica delle forze politiche.

Salvini, dal canto suo, forte del sostegno ricevuto da FdI e FI, ha affermato di essersi proposto al Capo dello Stato come premier di un governo per i prossimi dieci anni.

Di Maio ha riferito di aver confermato al presidente Mattarella che il M5S, come prima forza politica scelta dagli elettori, sente la responsabilità di confrontarsi con Lega e PD per verificare la possibilità di sottoscrivere un contratto di governo, su modello tedesco, che affronti i reali bisogni degli italiani, concordando tempi, risorse e modalità.

Infine ai microfoni è giunto Mattarella che ha ragguagliato su fatto che nel corso delle consultazioni non ha intravisti spazi per dar vita ad un governo che disponga della maggioranza in Parlamento, per cui lascerà alcuni giorni alle forze politiche perché riflettano prima di procedere ad un nuovo giro di consultazioni nella prossima settimana.

È chiaro, quindi, che dopo un mese dal voto la situazione sia al momento in blocco e che, aldilà dei tatticismi, sia poco probabile trovare nei prossimi giorni le condizioni necessarie per dare un governo al Paese.

Con il prolungarsi della crisi, perciò, vista la contrarietà del Capo dello Stato ad indire nuove elezioni a giugno, contrarietà condivisa peraltro da PD e FI che temono un ulteriore loro tracollo, il rischio vero è che nasca un governo pateracchio di incerta durata, ma che soprattutto disattenda il cambiamento che gli italiani hanno chiesto con il loro voto.

Insomma, un governo gattopardesco tanto per tirare a campa’ !