La mortalità per infarto in Italia in questa fase di emergenza sanitaria è triplicata passando dal 4,1% al 13,7% a causa della mancanza di cure (la riduzione dei ricoveri è stata del 60%) o dei ritardi negli interventi (i tempi sono aumentati del 39%), causati dalla paura del contagio.

Questo è quanto emerge da uno studio della Società Italiana di Cardiologia (SIC) condotto in 54 ospedali italiani, in corso di pubblicazione sulla prestigiosa rivista European Heart Journal. Gli esperti avvertono: non abbassare la guardia sulle malattie cardiovascolari, responsabili di circa 260mila decessi ogni anno, e ricostruire la rete dell’emergenza cardiologica.

“L’attenzione della sanità su Covid-19 e la paura del contagio rischiano di vanificare i risultati ottenuti in Italia con le terapie più innovative per l’infarto e gli sforzi per la prevenzione degli ultimi 20 anni. L’organizzazione degli Ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid-19 e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi. Inoltre, per timore del contagio i pazienti ritardano l’accesso al pronto soccorso e arrivano in ospedale tardi e in condizioni sempre più gravi, spesso con complicazioni aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che hanno dimostrato di essere salvavita come l’angioplastica primaria”.

E’ questo il grido d’allarme della Società Italiana di Cardiologia (SIC), lanciato dal suo presidente, Ciro Indolfi, Ordinario di Cardiologia Università Magna Graecia di Catanzaro, a seguito di uno studio multicentrico nazionale, condotto in 54 ospedali, per valutare i pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC), nella settimana 12/19 marzo, durante la pandemia di Covid-19, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno. “Il nostro studio, durante il periodo Covid, ha registrato una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13.7% dal 4.1 % – afferma Carmen Spaccarotella, co-autrice dello studio – Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. Infatti, il tempo tra l’inizio dei sintomi e la riapertura della coronaria durante il periodo Covid è aumentato del 39%. Questo ritardo è spesso fatale perché nel trattamento dell’infarto il tempo è un fattore cruciale e, se la tendenza dovesse persistere, la mortalità per infarto supererà quella direttamente associata alla pandemia”.

L’età media di questi pazienti è stata di 65 anni. “All’aumento della mortalità è associata una sorprendente riduzione dei ricoveri per infarto superiore al 60%. Il calo più evidente ha riguardato gli infarti con occlusione parziale della coronaria ma è stato osservato anche in ben il 26,5% dei pazienti con una forma più grave d’infarto – afferma Salvatore De Rosa, coautore dello studio - La riduzione dei ricoveri per infarto è stata maggiore nelle donne rispetto agli uomini e non solo i pazienti con infarto si sono ricoverati meno ma quelli che lo hanno fatto si sono ricoverati più tardi.”

Nonostante la pandemia Covid 19 si sia concentrata nel Nord Italia, la riduzione dei ricoveri per infarto è stata registrata in modo omogeneo in tutto il Paese: Nord e Sud 52,1% e 59,3% al Centro. “Questo dato ci colpisce perché mentre al Nord era logico attendersi una riduzione dei ricoveri, al Sud, dove la percentuale dei contagi è stata significativamente più bassa, la paura di accedere ai servizi sanitari risulta meno coerente in quanto i letti erano disponibili e rimasti non utilizzati” aggiunge De Rosa.

“Una riduzione simile a quella dei ricoveri per infarto è stata registrata anche per lo scompenso cardiaco, con un calo del 47% nel periodo Covid rispetto al precedente anno – osserva Pasquale Perrone Filardi, Presidente eletto SIC - La riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco è stata simile tra gli uomini e le donne. Una riduzione sostanziale dei ricoveri è stata osservata anche per la fibrillazione atriale con una diminuzione di oltre il 53 % rispetto alla settimana equivalente del 2019, così come è stata registrata una riduzione del 29,4% di ricoveri per malfunzione di pace-makers, defibrillatori impiantabili e per embolia polmonare”. “Siamo molto preoccupati per questi dati. Mentre al momento lo sforzo maggiore è ancora ovviamente concentrato sul Covid-19, i grandi risultati ottenuti in termini di sopravvivenza negli ultimi 20 anni, grazie alle innovative terapie per l’infarto e alle campagne di informazione e prevenzione, sembrano oggi vanificati da una mortalità che si è triplicata – sottolinea Indolfi – E’ necessario ora ricostruire la rete dell’emergenza per tutte le patologie cardiovascolari tempo-dipendenti, ripristinare i letti e gli ambulatori di cardiologia utilizzati in questo periodo per Covid-19 e soprattutto non sottovalutare i sintomi, come ad esempio il dolore di tipo costrittivo al petto o difficoltà respiratorie e rivolgersi subito al 118. E’ fondamentale non abbassare mai la guardia e, anzi, aumentare l’attenzione sulle malattie cardiovascolari responsabili di circa 260.000 decessi ogni anno”.