Così il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, ha commentato la riforma costituzionale per la separazione delle carriere nella relazione al 36° Congresso nazionale che si è concluso domenica 12 maggio:
"Quale altra plausibile ragione può sostenere l’idea– coltivata nell’ambito dei progetti di revisione costituzionale per la separazione delle carriere – di alterazione dell’attuale rapporto di proporzione numerica tra magistrati e laici nella composizione del Consiglio superiore della magistratura, anzi nei due Consigli superiori che si avranno una volta separato il pubblico ministero dalla magistratura giudicante, se non l’indebolimento del giudiziario nel settore nevralgico deputato a quella delicatissima attività che, con felice espressione, è indicata come di “amministrazione della giurisdizione”?Non persuade, come ratio del progetto di revisione, l’intento di diminuire la cifra di politicità dell’organo di cd. governo autonomo, se perseguito, con intrinseca irrazionalità, per mezzo di un aumento della quota della componente di nomina politica.Lo stesso progetto di separazione delle carriere, portato avanti con ostinazione pur dopo che la separazione delle funzioni è stata dilatata all’estremo e con buona pace del favor per la pluralità delle esperienze professionali, reca con sé il germe dell’indebolimento della giurisdizione, almeno quella penale.L’indebolimento troverà compimento una volta che il pubblico ministero, separato dalla giurisdizione e collocato in un ideale ma ad oggi sconosciuto spazio di autonomia e di contestuale estraneità all’area dei tradizionali poteri dello Stato, sarà in breve attratto nel raggio di influenza del potere esecutivo, che mal tollera di non poter includere l’azione penale nei programmi di governo.La prospettiva è tutt’altro che una fantasia spesa ad arte per contrastare quel progetto.Proprio perché molte democrazie occidentali conoscono la dipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo, sterilizzata nei suoi effetti distorsivi, nella maggior parte dei casi, da culture politiche e architetture istituzionali proprie di quei Paesi, la parabola di un riassetto istituzionale innescato dalla revisione costituzionale non sarà condizionabile nella sua traiettoria dalle dichiarazioni di chi oggi, alfiere della separazione, assicura e rassicura sulla piena indipendenza del pubblico ministero di domani.Si mette mano alla Costituzione mostrando di non aver compreso il senso di massima garanzia per i diritti dei cittadini dell’attuale impianto, di un pubblico ministero appartenente al medesimo ordine del giudice e accomunato al giudice per formazione e per cultura della funzione.Il messaggio costituzionale, che ora si vorrebbe cestinare, è che nella nostra Repubblica anche la magistratura inquirente non è e non può essere una magistratura di scopo; che essa condivide con la magistratura giudicante lo stesso disinteresse per il risultato dell’azione e del processo, indispensabile premessa per non restare indifferenti rispetto ai diritti e alle garanzie delle persone".
Nel suo intervento al Congresso, il Guardasigilli Carlo Nordio ha definito l’indipendenza della magistratura un "principio non negoziabile", confermando la volontà di non entrare in conflitto con l’ordine giudiziario e di procedere verso "riforme che incentivino l’efficienza della giustizia". Non ultima la necessità di accelerare le operazioni di reclutamento dei nuovi magistrati attraverso i tre concorsi già in atto.
"La separazione delle carriere – ha poi aggiunto – era nel programma elettorale ed è un percorso sicuramente lungo perché richiede una revisione costituzionale che sarà fatta nel principio della dichiarazione di Bordeaux", documento che "prevede una netta distinzione tra magistrati del pubblico ministero e magistrati giudicanti".
Quanto possono essere credibili le affermazioni di un ministro come Nordio che, una volta entrato in carica, aveva dichiarato di voler diminuire reati e pene, quando invece ha fatto l'esatto contrario, aumentando fin da subito - persino illogicamente e grottescamente - sia i reati che le pene?
Oltretutto, fa parte di un governo la cui azione potrebbe esser riassunta con il motto vietato non vietare, che ha licenziato norme che finiscono per limitare diritti e libertà di scelta, in modo tale da imporre, surrettiziamente, a tutti gli italiani i modelli che, di volta in volta, l'attuale governo ritiene siano quelli da dover seguire.
Difficile, se non impossibile, credere che gente simile possa separare le carriere dei magistrati senza pensare, ancora una volta surrettiziamente, a renderli dipendenti dal potere esecutivo.
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