Il segretario di stato Usa Rex Tillerson giovedì è arrivato in Turchia per una visita di due giorni, visita che assume un rilievo importante dopo l'invasione dell'esercito turco della regione, in Siria, intorno alla città di Afrin, a maggioranza curda.

Le milizie curde che combattono le forze anti Assad, ma anche l'Isis, sono riunite sotto la bandiera dell'YPG, ritenuta dai turchi un'associazione terroristica.

L'YPG costituisce però la colonna principale che supporta la coalizione che si oppone alle forze governative siriane, ed è stato armato, addestrato e aiutato dagli Stati Uniti, anche con il ricorso al supporto aereo e all'uso delle forze speciali.

A Tillerson, la Turchia ha chiesto che gli Stati Uniti rinuncino al supporto dell'YPG e di non considerare più la milizia curda come parte integrante dell'alleanza anti Assad, interrompendone anche l'armamento, con il ritiro di armi pesanti che gli Usa hanno però smentito di aver mai consegnato.

Una situazione ad alta tensione quella tra Turchia e Stati Uniti - persino incredibile pensando che i due paesi appartengono entrambi alla Nato e dovrebbero essere pertanto alleati - alimentata anche dal fatto che l'azione militare turca potrebbe estendersi ad est, interessando l'area di Manbij, un centinaio di km ad est di Afrin, dove sono presenti basi, mezzi e soldati statunitensi, circa 2mila marine.

Dopo quasi un mese dall'invasione della Siria, l'azione dell'esercito turco ha avuto conseguenze non certo irrilevanti per quel territorio e per chi vi abita. Secondo quanto riferito dall’Information Center of Afrin Resistance (Icar), in seguito all'attacco sono morti finora 180 civili, mentre sono oltre 480 quelli rimasti feriti e tra loro vi sono donne, bambini, anziani. Tra i combattenti - sempre secondo fonti locali - sono 98 i miliziani appartenenti all'YPG rimasti uccisi, mentre la Turchia unica in 1.500 il loro numero.

Ma alla guerra dei numeri su vittime e feriti, si affianca l'evidenza della distruzione causata dagli oltre 600 raid e i 2.500 missili lanciati dai carri armati di Ankara che hanno colpito infrastrutture civili, case, scuole, fattorie, ospedali, moschee e persino cimiteri.

Ormai è palese che l'Europa non abbia né interesse né capacità a fermare Erdogan. Da vedere se sapranno farlo gli Stati Uniti, non tanto perché abbiano a cuore il futuro dei curdi, quanto piuttosto il loro supporto nella lotta contro le ultime roccaforti dell'Isis.