Quale sia il filo conduttore delle scelte politiche di Erdogan è difficile poterlo stabilire con sicurezza. Probabilmente, giocando la carta del nazionalismo, con le mire espansionistiche in Africa e Rojava, Erdogan cerca di sostenere in patria il consenso che in precedenza gli aveva garantito il buon andamento dell'economia, con il quale ha trasformato la Turchia in una specie di Stato semidittatoriale.
Ma la Turchia non è una super potenza e se i suoi interessi finiscono per scontrarsi con quelli di Mosca e Washington, Erdogan ha ancora la lucidità per capire che è meglio fare un passo indietro, persino due se fosse necessario.
Nei mesi scorsi, nonostante il cessate il fuoco, la Turchia ha continuato con il supporto dei jihadisti ad avanzare nel nord della Siria con l'intento di prenderne il controllo anche per scacciarne la comunità curda che occupa quell'area geografica.
Quanto avvenuto a fine febbraio con l'attacco aereo siriano e russo - seppure Mosca abbia negato un coinvolgimento diretto - contro i militari turchi nell'area di Idlib, causando la morte di oltre 30 di loro (in base alle fonti il numero di vittime varia sensibilmente), è stato un avvertimento lanciato da Putin a Erdogan. Il presidente turco ha provato a far la voce grossa chiamando in causa Nato e, di conseguenza, Stati Uniti, pensando di ottenere il sostegno necessario per rispondere ai russi.
Non solo. Per forzare la mano ai Paesi europei membri della Nato, Erdogan ha permesso ai richiedenti asilo ospitati in Turchia di lasciare il Paese per tentare l'ingresso nell'Unione europea, passando da Grecia e Bulgaria. Migliaia di persone, senza mezzi e mal equipaggiate, si sono così ammasate ai confini dei due Stati europei che però non hanno aperto le frontiere.
Ma nonostante tutto questo agitarsi, Erdogan non ha ottenuto nulla di concreto, né dalla Nato e neppure da Trump, al di là di generiche dichiarazioni di sostegno. Pertanto, non appena Mosca ha spostato due delle sue fregate da Sebastopoli verso le coste siriane, il presidente turco si è precipitato al telefono chiedendo un colloquio a Putin... che glielo ha concesso.
Adesso, per Erdogan rimane solo da cercare una strategia per salvarsi la faccia... con i turchi che ancora lo supportano all'interno del Paese, non certo con la comunità internazionale!
Ma chi è il vero sconfitto e paga le conseguenze dei piani del presidente turco, è la popolazione di Idlib, quella del Rojava e i profughi siriani ammassati ai confini di Grecia e Bulgaria, pedine di scambio in un gioco politico che per loro è sicuramente mortale.
Adesso chi si occuperà di quella gente, con i Paesi europei, e non solo, alle prese con il coronavirus e la crisi economica che potrà causare? Questa è la domanda cui nessuno ritiene di dover rispondere.