Per giustificare l'esclamazione nel titolo, è sufficiente ricordare che gli italiani, dal 1970 ad oggi, hanno pagato due volte i costi delle ricostruzioni dei terremoti che hanno devastato l'Italia da nord a sud negli ultimi 50 anni.

Il dato viene fornito dalla CGIA di Mestre sulla base degli incrementi delle accise sui carburanti, 5 dal 1968 ad oggi, decise per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione post sisma. A partire dal 1970, che costituisce il primo anno da cui è possibile verificare i dati sui consumi dei carburanti, gli italiani hanno contribuito ai costi della ricostruzione post terremoto per 145 miliardi di euro nominali che, riportati ad oggi, corrispondono a 261 miliardi.

Partendo da quello del Belice, sono in totale sette i terremoti che hanno segnato tragicamente la storia del paese: Friuli, Irpinia, Marche/Umbria, Molise/Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna. Poiché i dati dell'analisi sono relativi fino al 2015, non è considerato l'ultimo devastante sisma che ha distrutto i comuni a nord di Rieti.

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha stimato in 70,4 miliardi di euro nominali, 121,6 miliardi  rapportati ad oggi, i costi sostenuti per la ricostruzione in quelle sette aree. Pertanto, gli italiani hanno pagato, in questi anni, circa 140 miliardi in più di quanto è stato necessario per la ricostruzione.

Una cifra tale che, se usata per la prevenzione sia sismica che idrogeologica, avrebbe potuto evitare i danni e i lutti che si sono registrati in questi anni. I disastri a cui sono seguiti l’aumento delle tasse sui carburanti sono 5.

Valle del Belice (1968): l’allora Governo guidato da Aldo Moro introdusse un’accisa sui carburanti di 10 lire al litro. Dal 1970 fino al 2015 l’erario ha incassato  8,6 miliardi di euro nominali. Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri la ricostruzione è costata 2,2 miliardi di euro nominali. In valori attualizzati al 2016, invece, il costo è stimabile in 9,1 miliardi di euro e la copertura ricavata dal gettito fiscale di 24,6 miliardi di euro. 

Friuli (1976): l’accisa introdotta sempre da un esecutivo presieduto da Aldo Moro fu di 99 lire al litro. Dal 1976 al 2015 questa imposta ha garantito un gettito di  78,1 miliardi di euro nominali, mentre per gli ingegneri la ricostruzione è costata 4,7 miliardi di euro nominali. Attualizzando gli importi, invece, si evince che la spesa per la ricostruzione è stata di 18,5 miliardi di euro, mentre il gettito fiscale recuperato è stato di 146,6 miliardi di euro. 

Irpinia (1980): il Governo di Arnaldo Forlani approvò l’introduzione di un’accisa di 75 lire al litro. In questi 35 anni di applicazione l’erario ha riscosso un gettito di 55,1 miliardi di euro nominali. Stando alle stime rese note dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, la riedificazione degli immobili e delle infrastrutture è costata  23,5 miliardi di euro nominali. Se, invece, attualizziamo le cifre si deduce che il costo si è aggirato attorno ai 52 miliardi di euro mentre la copertura è stata di 86,4 miliardi di euro.

Abruzzo (2009): il Governo di Silvio Berlusconi  ritoccò il prezzo della benzina e del gasolio per autotrazione di 0,004 euro al litro. A fronte di una spesa ipotizzata dagli Ingegneri di 13,7 miliardi di euro nominali, lo Stato finora ha incassato 539 milioni di euro nominali. Attualizzando i dati, invece, il costo è sempre di 13,7 miliardi di euro e il gettito proveniente dall’accisa di 540 milioni di euro.

Emilia Romagna (2012): l’esecutivo presieduto da Mario Monti decise di aumentare le accise sui carburanti di 0,02 euro al litro. Stando ad una spesa per la ricostruzione che dovrebbe aggirarsi attorno ai 13,3 miliardi di euro nominali, il gettito riscosso fino adesso con l’accisa sulla benzina e sul gasolio per autotrazione è stato di quasi 2,7 miliardi di euro nominali. In questo caso sia i costi che il gettito sono in linea con i valori nominali.

Secondo quanto riportato nello studio della CGIA, «ogni qual volta ci rechiamo presso un’area di servizio a fare il pieno alla nostra autovettura, 11 centesimi di euro al litro ci vengono prelevati per finanziare la ricostruzione delle zone che sono state devastate negli ultimi decenni da questi eventi sismici. Con questa destinazione d’uso gli italiani continuano a versare all’erario circa 4 miliardi di euro all’anno. Se, come dicono gli esperti, questi fenomeni distruttivi avvengono mediamente ogni 5 anni,  è necessario che queste risorse siano impiegate in particolar modo per realizzare gli interventi di prevenzione nelle zone a più alto rischio sismico e non per altre finalità.»

In pratica, quanto Renzi ha pensato di destinare al progetto Casa Italia, lo Stato già lo incassa e da molti anni! Adesso, è sufficiente che lo destini ad un uso corretto. Pertanto, quando il premier ha detto a Maranello, rispondendo alla domanda di un giornalista sulla flessibilità di bilancio, che le risorse per Casa Italia ci sono, adesso ne abbiamo la prova. Per una volta, Renzi non ha millantato.