Nel 2021 ricorrono i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, il genitore della lingua italiana, Durante Alighieri. Tutti conosciamo questo grande uomo: lo studiamo a scuola, leggiamo le sue opere, ne sentiamo parlare; ma, a parere del sottoscritto, in pochi conoscono una parola che il Poeta utilizza nella sua opera una e una sola volta e una e una sola volta viene adoperata in tutta la letteratura italiana.

La parola cui ci si riferisce è “ramogna”. Il termine compare al venticinquesimo verso dell’undicesimo canto del Purgatorio, ove leggiamo: “Così a sé e noi buona ramogna / quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo, […]”.

Ci troviamo nella prima cornice, dove le anime dei superbi espiano i loro peccati (in conformità con la legge del contrappasso) camminando gravati da pesanti macigni e recitando il Pater Noster.

Si tratta di un hapax di problematica interpretazione sul piano semantico, soprattutto per la difficoltà di ricostruzione dell'etimo e del significato originario. Interpretazione resa ancor più complessa dalla scarna conoscenza da parte dei commentatori danteschi antichi di questo termine. Questa ridotta conoscenza per il vocabolo trova le sue ragioni in quanto considerato un dialettalismo, una variante plebea di lessema dotto.

Sotto il punto di vista etimologico, c’è chi propone una derivazione dall’alemanno antico “ramunga” (a sua volta derivato del prefisso germanico *ram- il cui significato è ‘fine, scopo, meta’; importato nel latino medievale) e, in questo contesto, il significato del lessema dovrebbe riferirsi al raggiungimento del proprio obiettivo, della propria meta.

Il Pagliaro stabilisce il seguente valore originario della parola: "mormorazione, lamentazione", presupponendo l'etimo latino querimonia, con l'avulsione del “que-“ iniziale, inteso come aggettivo esclamativo: "che ramogna!". Altra supposizione circa l’etimo di questo termine è nel “Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana” del Bonomi, secondo il quale pare che derivi dal latino “remigium” ‘il remare’ o come composto del celto-gallico “Ra” ‘l’andare’ e “moigheanar” ‘felice’ o, ancora, dal latino “remeare” ‘ritornare’, mediante la forma “*remeonium” nel senso di ‘ritorno’ giustapposto all’aggettivo “buono” o simili, occorrenti al fine di caricare il termine del significato di “felice augurio”.

Ipotesi demolita è quella del Porena, secondo la quale da ramus deriverebbero, nel linguaggio contadinesco, ramogna per ‘moltitudine di rami’, e “ramognare” ‘potare gli olivi’; di qui “buona ramogna”, "buona potatura", "buon futuro raccolto" (nel nostro caso, in senso spirituale) e "buon augurio" in genere. In effetti, le testimonianze del linguaggio agricolo, addotte dal Porena, sono indirette e non verificabili.

Non privo di fondamento sembra l'accostamento alle parole francesi “ramoner” (‘ripulire’, anche in senso morale: ‘purificare’) e “ramon" ‘scopa’, da cui il significato di ‘purificazione’. In tale quadro, liberandola dall'errore di fondo della pretesa e non documentata origine agricola, si potrà accogliere con favore l'ipotesi del Porena sul significato originario di “ramognare” in alcuni testi medievali e dell'astigiano “ramogner”: esso sarebbe ‘purificare, correggere’, donde, poi, ‘rimproverare, brontolare, biasimare’.

Dalla lettura del Passavanti si evince che ramogna potrebbe essere voce popolare per “rampogna”, nel significato, quindi, anche in questo caso, di ‘rimprovero, lamentela’, confermata anche dal portoghese e da testimonianze dialettali piemontesi, lombarde (ramugné, ramugnus) e siciliani (rimugnari, rimunnari ‘ripulire l’albero di rami secchi e nocivi’). Rilevante è la congettura del Levi: il termine sarebbe la variante popolare della voce dotta “alimonia”, viva nella tradizione giuridica e in quella ecclesiastica, dove indicava il ‘nutrimento spirituale’, la quotidiana manna del Pater Noster recitato dai superbi.

Si legge, inoltre, in un post di Instagram del 20 aprile 2021 dell’Accademia della Crusca che pare che ramogna sia un derivato dell’antico italiano “ramognare” ‘purificare, benedire’, dal latino volgare “*remundiare”, variante del latino ecclesiastico “remundare” ‘purificare, mondare dai peccati’. L’ultima proposta che si desidera porre all’attenzione dei lettori, elaborata da St. Massa, accettata dal Montanari e rielaborata dal Pittau, è la seguente: derivazione dal latino harmonia, per cui la frase “buona ramogna” significherebbe esattamente “buona armonia”.

È a tutti noto che il latino harmonia deriva dal greco harmonía. La base greca era parossitona o piana, mentre quella latina, per una nota regola di accentuazione dei vocaboli latini, era proparossitona o sdrucciola, veniva cioè pronunziata harmónia.

Ebbene, la derivazione di ramogna dal latino harmònia non dà luogo ad alcuna difficoltà degna di rilievo. Che in latino si pronunziasse effettivamente harmònia è dimostrato in maniera chiara pure dal nome dell'odierno villaggio della Sardegna meridionale che ne deriva, Armúngia.

Ebbene, per il passaggio da una originaria frase “buona *armogna” al toscano medioevale “buona ramogna” è sufficiente postulare una semplice metàtesi (fenomeno per cui, all’interno della stessa parola, due suoni si invertono prendendo l’uno il posto dell’altro) dei due primi fonemi del vocabolo *armogna. Il valore di “buona ramogna” dovrebbe essere, secondo questa interpretazione, “buona armonia”, armonia tra i parenti, tra gli amici, tra i conoscenti e i compagni di viaggio, com’è proprio il caso delle anime purganti che procedono nella montagna del Purgatorio dantesco.