«Ma come cazzo la tiene in mano, quella bacchetta?»
«Si chiama impugnatura tradizionale. “Traditional grip”».
«E che c’entra col noise?»
«Ma che ti frega?!»
«Questo su Sonica si spacca un polso, io te lo dico».
«Guagliù, ma pensàti a ve ne verè ‘e bene!».

Alcune ore prima, lì a Napoli, Palapartenope, marzo 2003, c’erano ancora i cancelli chiusi. Noi, come tre stronzi, arrivati alle dieci di mattina, col benestare di genitori che per troppo tempo avevano sopportato figli strafatti e inebetiti da api regine e ineluttabilità. Va bene, domani niente scuola, andate dove dovete andare purché non rompiate più i coglioni con questi qua. Mesi prima in pellegrinaggio da Concerteria, fermata Piazza Amedeo, poi a piedi un po’ più in su, perché chi vuoi che te li spacci, se no, due biglietti di merda in quel cesso di pseudo città in cui sei costretto a sopravvivere. Sì e no quindici euro l’uno e poi noi lì, tre imbecilli, sfondati a panini con salsiccia e vino paesano manco stessimo passando la Pasquetta a Woodstock, sbattuti per terra, davanti ai cancelli, sotto un primo sole primaverile, solo noi tre in un quartiere intero – bella giornata, però – a socializzare con il primo guardio che prendeva servizio al suo turno. Un appassionato di rock pure lui, però. Sulla cinquantina, padre di famiglia. Lui ha visto i Pearl Jam in Arena a Verona e io no, bastardo.

Il risveglio cerebrale alle cinque del pomeriggio, una station wagon che arriva, si ferma e entra nel piazzale. C’è un po’ più di gente, adesso, ma non vedo più Alfonso. Si è sparato nell’unico finestrino aperto, quello di Godano, davanti, lato passeggero. Io non so cosa fare, quindi scatto una foto che poi chissà che fine abbia fatto, forse non era neanche stata sviluppata. Enrico, sigaretta fra i denti, sentenzia “coglione”. Si dovrebbe fare un soundcheck, cantiamo a squarciagola assieme a quelli che continuano ad arrivare mettendosi in coda. Ma il cancello è nostro, non ve lo dimenticate. Tanto c’è il guardio dei Pearl Jam che ci fa l’occhiolino e, poco dopo le otto, i primi a passare siamo noi. Via, di corsa. La nostra prima transenna. La mia unica, forse. Non ho chiara memoria in merito.

Fatto il soundcheck, occhio che dal tendone esce fuori qualcuno a fumare. Toh, è Luca. Ma che fa? Oh, viene qua, viene qua!

«Ciao ragazzi!»

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