La Cgia di Mestre si è interrogata sul reddito di cittadinanza, ed in particolare sulla possibilità che ad usufruire del provvedimento possano essere anche coloro che lavorano in nero.

Innanzitutto, ha individuato la platea dei possibili beneficiari del provvedimento. Ad essere coinvolti sarebbero 1.375.000 nuclei familiari per un totale di 4 milioni di persone.

In base a quanto riporta l’Istat, in Italia ci sono all'incirca 3,3 milioni di occupati che svolgono un’attività irregolare. Quel numero contiene lavoratori dipendenti (che pertanto fanno un secondo lavoro) e pensionati quantificabili in 1,3 milioni di unità. Queste due categorie però non hanno i requisiti per accedere al reddito di cittadinanza.

Tolti dal numero complessivo, rimangono così 2 milioni di persone che lavorano in nero e costituiscono circa la metà dei potenziali aventi diritto (poco più di 4 milioni) al reddito di cittadinanza, a cui il Governo ha destinato 6 miliardi di euro.

Infatti, secondo la legge di Bilancio 2019, il fondo per il reddito di cittadinanza avrà una dotazione per l’anno in corso pari a 7,1 miliardi da cui ne deve essere sottratto 1 destinato ai Centri per l’impiego, oltre ai 10 milioni da destinare ad ANPAL.

Pertanto, ai beneficiari del reddito di cittadinanza saranno erogati poco meno di 6,1 miliardi di euro, di cui circa la metà, 3 miliardi di euro, piaccia o non piaccia al Governo, è facile immaginare che andrà comunque a chi lavori in nero.

Così, Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi di Cgia, commenta l'allarme lanciato: «A causa dell’assenza di dati omogenei relativi al numero di lavoratori in nero presenti in Italia che si trovano anche in stato di deprivazione, non possiamo dimostrare con assoluto rigore statistico questa tesi.

Tuttavia, vi sono degli elementi che ci fanno temere che buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza potrebbe ottenere questo sussidio nonostante svolga un’attività lavorativa in nero, sottraendo illegalmente alle casse dello Stato un’ingente quantità di imposte, tasse e contributi previdenziali.

In altre parole, l’Amministrazione pubblica, al netto delle misure di contrasto previste, sosterrà con il reddito di cittadinanza un pezzo importante dell’economia non osservata!»

In pratica un paradosso come ci ricordano le parole del segretario della CGIA Renato Mason, anche in considerazione del fatto che il Governo ha indicato questo provvedimento come fattore di sviluppo, volano, anche se non unico, per aumentare il Pil del Paese: «La presenza del lavoro nero, ovviamente, provoca effetti economici e sociali molto negativi, senza contare gli ingenti danni causati alle attività commerciali e produttive che rispettano le regole.

Con la diffusione dell’economia sommersa, a rimetterci non è solo l’Erario, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigiane e del commercio che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti.

I lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, assicurativi e agli oneri fiscali, consentono alle imprese dove prestano servizio - o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi - di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Prestazioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non può offrire.»

Per ultimo, Cgia ci ricorda che è il sud, bacino elettorale del Movimento 5 Stelle, dove il lavoro nero è maggiormente presente, con in testa - tra le regioni - la Calabria che, secondo gli ultimi dati disponibili (anno 2016), presenta 140.700 lavoratori in nero, ma con un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale pari al 9,4 per cento. Un risultato che è quasi doppio rispetto al dato medio nazionale (5,1 per cento).

Segue la Campania che, con 372.600 unità di lavoro irregolari, “produce” un Pil in “nero” che pesa su quello ufficiale per l’8,6 per cento. Al terzo posto di questa particolare graduatoria troviamo la Sicilia, nello specifico con 303.700 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella complessiva pari all’ 8,1 per cento.