Anche se vuol dire esporsi, sono convinta ne valga la pena.
La nostra non perfetta società ha anche il difetto di non leggere, però “Il mondo al contrario” sembrerebbe aver raggiunto le centomila copie in pochissimo tempo. Sono solo una scrittrice e potrei restare in silenzio, ma la mia penna non ne vuole sapere di tacere, vuole occuparsi anche di sociale, perché di questo si tratta.
Ho sentito un dovere morale. Dovevo capire. Ho ascoltato e letto molti esprimersi, soprattutto senza aver letto, su poche righe riportate qua e là a voler seminare zizzania. Ho sempre creduto nelle istituzioni, nel loro senso e nel loro valore e non riuscivo a capire come un uomo delle istituzioni, dell’esercito, al culmine della sua carriera potesse esprimere tanta acredine, tanto livore. Perché di questo si tratta. Non ci credevo. E così sono andata a vedere. Non ho trovato nulla! Solo tanta rabbia raccontata con la pulsione che caratterizza quel sentimento. Non ragionata, non esaminata, non studiata.
Un vero e proprio processo urlato, che ha messo sul banco degli imputati le minoranze e, a loro contorno, altri argomenti. Parole acerbe e smodate, avulse da ragionamenti, che giudicano senza lasciare spazi a qualsivoglia appello. Si sente, l’autore, vittima delle minoranze, nel suo affermare essere maggioranza e non lo sopporta. Sente di essere quella maggioranza silenziosa alla quale ha deciso di dare voce. Ma se è maggioranza, seppur silenziosa, di che si preoccupa?
La nostra non perfetta società, democratica e costituzionalmente garantita, sicuramente complicata, è lo specchio del nostro tempo, del nostro vissuto, di chi siamo noi e di chi vogliamo essere. Il libro ha avuto una risonanza mediatica particolare, altrimenti, da solo, non avrebbe destato molto interesse. Sono argomenti forti per uno spicchio ben distinto di popolazione. Espressione tuttavia di una minoranza. Bisogna domandarsi perché, al di là della volata tirata dal quotidiano La Repubblica, ha avuto tale successo. Non credo che il successo dipende dal rifiuto del generale ad accettare contraddittori veri. Fa riflettere il rifiuto del generale a partecipare a trasmissioni dove non c’era condivisione, ma un contraddittorio vero, e accettare unicamente inviti dove le idee espresse erano condivise e quindi amplificate e rilanciate. In tutte le epoche ci sono state contrapposizioni tra progressisti e conservatori e la nostra non fa eccezione. Ma la cultura di una società si esprime soprattutto nel saper camminare e affrontare le distonie.
Senza soffermarsi in commenti sulla mancanza di editing, scorrettezza del testo, ripetizione all’infinito di magri concetti (è possibile che il vestito sia diverso nella nuova edizione della CE Il Cerchio, le pagine diventano 228 da 350 e sono inoltre inserite le interviste integrali), quel che sorprende è l’assenza di analisi e la mancanza di consapevolezza di ciò del quale si vorrebbe discorrere e si vorrebbe far diventare messaggi. Questa carenza è astutamente celata dietro una retorica melliflua, guarnita, oltre che da ragionamenti discutibili, da argomentazioni di perfetto buon senso: un mix subdolo che si nutre di falsi sillogismi tanto cari a una parte non trascurabile dell’opinione pubblica, del tipo: “Quel reato è stato commesso da un immigrato, quindi gli immigrati sono pericolosi”. Il falso sillogismo consiste nell’attribuire a tutti gli immigrati l’etichetta di pericoloso: è come se attribuissimo a tutti gli animali con le ali l’essere uccelli, per cui anche le mosche sono uccelli!
Resta il fatto che questa retorica è molto insidiosa, astutamente condita da esperienze personali, da dati e citazioni, nonché da considerazioni di buon senso, che la rendono - se possibile - ancora più convincente. Una retorica che si nutre non saprei dire se di paralogismi, ovvero ragionamenti che derivano da una imperfezione insita nel procedimento logico, e quindi erronei, fallaci; o non piuttosto di sofismi, in cui l'errore nell'argomentazione è intenzionale, per cui l’esperienza personale, il dato o la citazione di buon senso vengono utilizzati ad arte per oscurare la parzialità o addirittura la fallacia dell’analisi. In ogni caso la sensazione che emerge durante la lettura del testo è di una forte rabbia espressa in parole libere a comporre frasi orfane di ragionamenti ben fondati e correttamente argomentati, e analisi profonde e maturate, obbligatorie nell’affrontare certi argomenti.
E così il progresso, la scienza, la conoscenza, l’evoluzione, la crescita sociale, culturale, politica sono messi da parte, non riconosciuti, negati, sotterrati. Si resta un po' spaesati leggendo, increduli, frastornati nel ritrovarsi a camminare in un passato lontano che abbiamo impiegato anni a maturare. Un passato che abbiamo vissuto per crescere, per comprendere, per capire. Siamo oggi una società migliore, non perfetta, complicata, però migliore. La famiglia, le persone, le donne, gli uomini, l’ambiente, la società, la Nazione, l’Europa, nonostante le loro sfaccettature non tutte condivisibili, e per fortuna, sono migliori. Lui no, non è cresciuto, è rimasto fermo, ben ancorato a un tessuto culturale oggi non più accettabile. Evidentemente in realtà si sente solo, manifesta la rabbia dell’emarginazione, quella emarginazione che mette sul banco degli imputati sedendosi, al contempo, accanto a loro.
La maggioranza silenziosa della quale parla a gran voce in 350 pagine (oggi diventate 228) è così silenziosa da essere minoranza, minoranza della quale lui fa parte e gli va molto stretta. A differenza delle altre, tuttavia, non trova sponda ad accogliere le sue urla. Centomila copie, ma anche duecentomila, non sono rappresentative della maggioranza, questa volta vera e non silenziosa, degli italiani ma espressione di un vociare popolare presuntuoso e immaturo, figlio di povertà intellettuale e culturale. Un successo editoriale in una Italia che non legge deve far riflettere, ed è quello che invito a fare.
Il 60% degli italiani legge meno di un libro l’anno. E gli altri? Ho la sensazione che lui non ha convinto nessuno al di là dei già convinti. Siamo noi, quindi, la maggioranza, che dobbiamo convincere loro del nostro sentire, del nostro voler essere società non perfetta e complicata ma sicuramente matura e consapevole e determinata, del nostro voler continuare a camminare nel progresso, nella scienza, nella cultura, nella conoscenza, nella tolleranza, nel riconoscimento dell’altro da noi, nella famiglia per scelta e non subita, nell’essere donna e poterla essere, nell’essere uomo, nel rispetto reciproco. Senza paura, senza alzare i toni, con competenza e determinazione. Negare il cammino della cultura e della società renderebbe ognuno di noi triste, povero, e arido.
Luisanda Dell’Aria
Mario C. Cirillo