L'ultimo uomo, una sorta di manichino a mezzo busto sul quale sembra essersi rovesciata una tanica di petrolio, non è solo l'invito alla mostra Paradise, ma indica anche il punto di non ritorno di un lungo cammino cominciato nel secolo scorso.
Marco Agostinelli, umbro d'origine, che aveva mosso i suoi primi passi nell'arte negli anni Ottanta, realizzando più di cento documentari dedicati ai grandi maestri del Novecento, nel 2003 presentò al pubblico, il suo lavoro d'artista nella mostra Il Fantasma del digitale, che gli valse il riconoscimento di antesignano dei linguaggi tecnologici dell'arte. Dopo esattamente venti anni da questo evento, di cui parlarono molto la critica e la stampa, la rassegna Paradise, ospitata dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, città nella quale l'artista attualmente vive e lavora, diventa un momento di riflessione per comprendere dov'è arrivata l'arte di Agostinelli e dove siamo arrivati noi uomini del nuovo millennio.
Partendo dal fiore nero che L'ultimo uomo porge ai visitatori, e dalle nature morte citazioni della storia dell'arte e del primo artista “green” Joseph Beuys, Agostinelli che si è sempre distinto per quel suo particolare metodo di procedere, destrutturando immagini e cose, per poi ricomporle sovrapponendo e stratificando materie e idee, dissemina la sala di richiami che non sono altro che possibili indizi del disastro ecologico e antropologico che vuole rappresentare.
L'allestimento, concepito come se fosse una coreografia teatrale, mette in scena la storia di quell'eroico fantasma o “superuomo” che si era preannunciato come un novello Zarathustra del terzo millennio, mentre invece a distanza di neanche una generazione, sembra piu assomigliare a Joker, il noto personaggio dei fumetti vittima della follia di una società autolesionista che lo induce a distruggere il mondo. L'ultimo uomo è circondato da oggetti enigmatici che si presentano sotto forme e colori mai visti. Sono quasi tutti composti da materiali di riciclo, provenienti da macchine obsolete, legname di scarto, fili metallici, cartacce e altri piccoli frammenti di futili oggetti che potremmo trovare nelle nostre case, come se fossero reperti archeologici dell'éra che stiamo vivendo. Così appare il vecchio computer nell'installazione ciyberpunk Televisioncross, prigioniero nel più totale oblio, in quella stessa rete che aveva creduto essere l'esternazione dell'ideale democratico della tecnologia, e che ora invece lo stringe fino alle gambe, nella morsa della globalizzazione. L'atmosfera in cui è immersa la sala, risente di quel clima di inquietitudine
che ci porta a riscoprire una romantica bellezza nei luoghi più bui e abbandonati. Nei Notturni Lagunari, Agostinelli riscrive i canoni di una nuova pittura bidimensionale, dove l'acqua stagnante dalle tonalità scure, ravvivata dai riflessi dei colori della città, si solidifica in superfici rugose lambite dalla bava bianca e schiumosa delle onde. La scultura stessa mimetizzandosi con la pittura, perde peso e volume, nel gioco dei vuoti e dei pieni di ingegnosi assemblage che si presentano sotto forme aerodinamiche, come la navicella astrale, o talvolta più statiche da sembrare quasi delle maschere tribali. La comprensione profonda di questa tragedia che porterà all'estinzione della specie umana, è racchiusa nelle pagine di un libro. Si tratta di Quando abbiamo smesso di capire il mondo, il libro vincitore del Premio Letterario Galileo per la divulgazione scientifica 2022, nel quale, lo scrittore olandese Benjamin Labatut, raccontando la nascita della scienza moderna, svela come le più importanti scoperte scientifiche siano diventate poi, all'insaputa degli scienziati, dei potenti dispositivi di distruzione di massa. L'artista restituisce l'essenza del libro, in un'opera composta da due sole pagine. Al centro campeggia una mostruosa figura policefala, con i profili taglienti e acuminati dei personaggi che popololano i suoi disegni. Questa peccaminosa macchia nera si espande azionando tutt'attorno, un movimento conturbato di segni e pennellate. E ancora una visione apocalittica ritorna nel Diario intimo, una sorta di giudizio universale, dove le anime bianche filiformi sono assemblate in uno spazio di attesa, spennellato qua e là con il blu di Prussia, primo colore sintetico da cui fu estratto il cianuro di idrogeno, potente pesticida utilizzato anche nei forni crematori.
Anticamente la pittura sanificava i luoghi dopo le pestilenze. Ed è questo l'effetto che si riceve entrando nella sala, dove tutte le opere sono state indistintamente coperte con uno strato di pittura per essere purificate dall'orrendo crimine commesso contro madre natura. Le tracce di vernice oro che si scorgono un po' ovunque, ed in particolare sul busto e sul volto dell'ultimo uomo, sono indizi di una possibile redenzione. Era stato proprio Beuys ad affermare che ogni uomo è un artista se crea e non distrugge. Ed è a lui, padre putativo dell'ecosofia di Agostinelli, che è dedicata l'opera video Difesa della Natura realizzata nel 2004 per il museo di Ascona. In questo lavoro sperimentale prende forma La Scultura del pensiero, il ciclo di opere che l'artista realizzò nel decennio successivo e che lo portò a partecipare al Padiglione Italia nella 54 Biennale di Venezia. Trasformatosi in un alchimista, Agostinelli scioglie alcune immagini delle indimenticabili azioni performative intraprese da
Beuys indifesa della natura, insieme ad altre immagini liquefatte provenienti dal suo archivio, ottenendo un materiale vischioso e duttile come l'argilla, con il quale plasma il suo universo creativo.
Preavvertendo la terribile sciagura che si abbatterà sul mondo nel giro di poco tempo, Marco Agostinelli, nel 2015, sente l'esigenza di lasciare il virtuale per ritornare a fare arte con gli strumenti stessi dell'artigiano. Da quel momento in poi, fino al lockdown, lavora quasi esclusivamente con i legni di gondola, a contatto stretto con i maestri d'ascia dello Squero di San Trovaso. Da questa eccezionale esperienza, nascono le sculture Birdman and the New Generation, dove attraverso un processo di metapoiesis, Venezia e la laguna assurgono a simboli di resilienza in difesa di un pianeta che si è ammalato. L'ultimo uomo è figlio di questa nuova generazione arrivata ad un punto di non ritorno. Ancora una volta Agostinelli elegge un libro come riferimento critico del titolo della sua mostra: nel Manifesto del terzo paesaggio, il giardiniere, paesaggista francese Gilles Clemens, insegnando l'arte del vivere, ammonisce l'uomo ad interrompere le peregrinazioni e a coltivare un piccolo orto, fino a farlo diventare un grande giardino il più vicino possibile al Paradiso (Paradise).
Roberta Semeraro