Inutile girarci intorno: la prima cosa che notiamo di un libro è la copertina, volete impedire agli occhi di svolgere la funzione alla quale sono preposti?

Ne Il Terremoto Inventato troviamo un volto, velato, di donna, mentre nel sequel che ha come titolo Mi sono innamorato di Naomi Watts, v’è un viso di donna che si mostra nella sua interezza, senza coprire alcunchè, neanche qualche segno del tempo che è passato.

Un elemento di rottura? Si, almeno secondo chi scrive queste righe.

Il primo romanzo viveva di una trama vagamente ipnotica, una commistione tra fatti accaduti e narrati ed un linguaggio onirico, lo stesso che usa il nostro inconscio per comunicare con noi stessi e con gli altri.

Nel sequel le atmosfere sono dannatamente realistiche ed aderenti a quello che potremmo definire come un piano di realtà condiviso e condivisibile. Dunque, la prima soluzione di continuità è nella narrazione, che esula dai dialoghi, a volte serrati, tra i protagonisti e si manifesta in una sorta di dialogo con il lettore. Quasi un lungo racconto, intimo, come lo stesso scrittore ci aveva abituato nel Terremoto Inventato.

Va ben oltre il piano figurativo, l’evocazione di una copertina che non presenta veli imbarazzanti e, al di là dello stesso piano di narrazione, va sottolineato come la sinossi ci dia delle preziose indicazioni su ciò che è lecito attendersi, anche se l’autore ci ha abituato a continue sorprese.

Un paio di capitoli sono dedicati alla “metabolizzazione del lutto“, la donna che ritratta la propria promessa e, probabilmente per un’ultima volta, preferisce tornare dietro al velo, questa volta per sempre o quasi! C’erano già preziosi indizi che ci conducevano verso questa rivelazione, quasi una profezia che si autodetermina, rileggendo le ultime pagine de Il Terremoto Inventato, si avvertiva un’aria risoluta : si o no, senza soluzioni intermedie!

Una lunga e minuziosa ricostruzione di una storia importante che svanisce e di un innamoramento inventato, per dirla come farebbe lo stesso autore.

La novità più rilevante si annida e si srotola nei capitoli centrali, dove si narra della drammatica espulsione , dal mondo del lavoro, di un gruppo di intellettuali. Una tragedia che è narrata in un modo che piacerebbe a Bulgakov, dove il dolore si trasfigura in personaggi che affondano e sprofondano nel grottesco, richiamando quella follia che è accennata nel romanzo precedente e che restituisce uno spaccato della società attuale, divisa fra voyeurismo da social e povertà reale di primo ordine .

Un tocco francese lo ritroviamo nella narrazione della educazione sentimentale del professore, una disamina minuziosa delle donne che hanno incrociato il suo destino, di quelle che avrebbero voluto rimanere e di quelle che sono scomparse…

Un intero capitolo assume la parvenza di un metaromanzo, un romanzo del romanzo, per usare un paradosso cui l’autore ci ha abituato, ed anche qui è possibile scorgere altri elementi di rottura, la soluzione di legami amicali che si sommano alle delusioni amorose.

L’ultimo capitolo L’anello di Tiffany , troviamo che sia in linea con le modalità con cui Nino chiude i suoi romanzi : affidando se stesso ai sogni, al desiderio che tutto possa cambiare , sono sogni travestiti da progetti, ma che lasciano sottintendere come la speranza che possa accadere il miracolo, non accenna a spegnersi e noi ad attendere un terzo capitolo di questa saga.