Di TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership, pronunciato di solito Ti-Tip) si è cominciato a parlare nel febbraio 2013, quando Obama, nel suo annuale discorso sullo Stato dell'Unione, annunciò l'inizio dei negoziati con l'Unione Europea per un trattato sulla liberalizzazione degli scambi commerciali. Il giorno seguente, lo stesso Obama e l'allora presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, comunicarono formalmente l'iniziativa.
Nel giugno 2013, i 28 stati membri dell'UE conferirono alla Commissione il mandato per condurre la trattativa, una sorta di autorizzazione a parlare con gli Stati Uniti a loro nome. Il documento fu inizialmente secretato e, solo a seguito delle pressioni dell'opinione pubblica, ne fu rivelato il contenuto. L'obiettivo principale era quello di espandere e rafforzare i rapporti economici fra Usa ed Unione Europea, per una maggiore crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro.

 

Perché si fanno trattati commerciali

Ci sono delle regole per il movimento di beni e servizi attraverso i confini nazionali. La maggior parte dei paesi hanno proprie norme per i prodotti locali, non riconosciute altrove. Altre norme sono spesso adottate nell'intento di impedire a fornitori esteri di accedere al mercato interno e proteggere l'economia nazionale. Ad esempio, la commercializzazione della birra negli Stati Uniti richiede l'approvazione da parte di ogni singolo stato.
Una distinzione fondamentale è quella fra restrizioni tariffarie (dazi, tasse) e restrizioni non-tariffarie (tetti alle importazioni, sovvenzioni statali, standard, norme legislative). L'importazione di camion negli Stati Uniti dall'Europa, ad esempio, prevede un dazio del 25%.
L'idea della liberalizzazione del commercio a livello mondiale risale al diciannovesimo secolo, ad opera soprattutto dei liberisti inglesi, convinti che un commercio con poche limitazioni avrebbe favorito il benessere dei popoli. Proprio con questa finalità, nel 1995 fu creato il WTO (World Trade Organization), con 161 stati membri. Al contrario, i sostenitori della necessità di restrizioni commerciali ritengono importante proteggere i singoli mercati dalla concorrenza a basso costo, soprattutto per quanto riguarda l'agricoltura ed il mercato del lavoro.

 

I trattati già in essere

Il WTO ha già stipulato oltre 200 trattati commerciali. Il più importante, in termini di popolazione, è quello con la Cina e la federazione dei paesi dell'Asia sudorientale (Asean), che ha creato un'area di libero scambio con quasi due miliardi di persone. Anche l'UE è un'area di libero scambio, come del resto quella del Nafta, che comprende Stati Uniti, Canada e Messico.
E' già stato approvato l'accordo TPP (Trans-Pacific Partnership), stipulato fra i paesi che si affacciano sul Pacifico: Usa, Canada, Australia, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e Brunei. A breve ne è prevista l'entrata in vigore.
Secondo fonti ufficiali la Cina ha già siglato 12 trattati e ne sta negoziando altri otto. Tra questi c'è l'RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), che raggrupperebbe gli accordi, già in essere, dei paesi appartenenti all'Asean con il Giappone, la Corea del Sud, l'India, l'Australia, la Nuova Zelanda e la Cina e finirebbe per costituire una sorta di contrappeso al TPP. Questo trattato riguarderebbe la metà della popolazione del pianeta, un terzo dell'economia mondiale e circa il 30% del commercio globale.

 

Cosa cambierebbe con il TTIP

Accesso ai mercati. I dazi pur già bassi scomparirebbero del tutto, con conseguente risparmio per le imprese e riduzione dei prezzi. Le aziende da entrambi i lati dell'Atlantico potrebbero partecipare a pari condizioni a gare pubbliche. Gli stessi fornitori di servizi avrebbero un più facile accesso ai rispettivi spazi commerciali, con il vantaggio di una maggiore concorrenza.

Requisiti dei prodotti. Negli Stati Uniti, gli indicatori di direzione delle auto sono rossi, in Europa gialli. Con il TTIP si otterrebbe una totale uniformità di standard e normative, non solo in campo tecnico, ma anche nei settori della sanità, della cosmetica, delle apparecchiature mediche, dei farmaci e del tessile. I controlli sulla conformità dei prodotti saranno effettuati dal paese esportatore, mentre quello importatore li accetterà automaticamente.

Altre regolamentazioni. L'accesso all'energia ed alle materie prime sarebbe facilitato. Un ruolo importante lo ricoprono anche temi come quello della tutela dei beni culturali, dei prodotti dell'ingegno, dell'ambiente e del lavoro dipendente. In particolare, i produttori di alimentari insistono perché sui prodotti sia indicata la provenienza, anche su quelli esportati negli Usa.

 

Perché i tempi si allungano?

Entrambi i continenti hanno proprie norme e tradizioni ed esistono differenze legali e culturali, in vari settori.

Sanità. Attualmente farmaci già approvati negli Stati Uniti vengono di nuovo testati in Europa e viceversa. Negli Usa i produttori possono decidere autonomamente il prezzo dei farmaci, in Europa no. Le regole per l'omologazione di protesi dell'anca e del seno o per i cateteri cardiaci in Europa sono molto permissive, non così negli Usa, dove a controllare è la potentissima FDA.

Agricoltura. Gli agricoltori americani possono utilizzare pesticidi e ormoni, vietati in Europa. Le norme ambientali in Europa sono più restrittive che in Usa. Da qui le proteste degli agricoltori e degli ambientalisti europei.

Tutela dei consumatori. In Europa vige il principio di precauzione e una sostanza può essere utilizzata solo quando è stato dimostrato che non è nociva. Negli Usa è l'esatto contrario e una sostanza può essere impiegata, finché non è stata scientificamente provata la sua pericolosità. In Europa sono migliaia le sostanze chimiche vietate nel settore della cosmetica, negli Stati Uniti poco più di una decina. D'altronde in alcuni settori, come quelli degli aromatizzanti e dei giocattoli, i requisiti americani sono più rigorosi di quelli europei.

 

Chi sono i negoziatori

Gli stati membri dell'Unione Europea, attraverso i loro ministri del Commercio, hanno affidato un mandato negoziale alla Commissione Europea, che è affiancata da un gruppo di 16 consulenti, formato da rappresentanti dei sindacati, delle imprese, delle associazioni dei consumatori e del settore sanitario, la cui possibilità di incidere sulle scelte non è però chiara.
Negli Stati Uniti, il Senato e la Camera dei Rappresentanti, competenti entrambi sulle questioni commerciali, dopo aspri contrasti, hanno affidato al governo Obama i pieni poteri per la conduzione del negoziato.
In Europa, prima della sua entrata in vigore, il trattato dovrà essere approvato dal consiglio dei ministri europei del Commercio, dal parlamento europeo e dai parlamenti dei singoli stati membri, ma solo nel caso che esso riguardi ambiti su cui la UE non ha autonomia decisionale. Negli Usa sarà necessaria l'approvazione del Congresso.

 

Come e dove si tengono i negoziati

Le trattative coinvolgono 20 gruppi di lavoro, competenti per settori diversi e formati prevalentemente da rappresentanti della Commissione UE e del dipartimento per il Commercio degli Usa. L'esatta composizione non è stata resa pubblica. In alcuni casi sono chiamati a partecipare anche rappresentanti dei vari settori del mondo economico e della società civile.
I negoziati si articolano nei cosiddetti round che si tengono alternativamente in Europa e in Usa (l'ultimo, il tredicesimo, nel mese di aprile 2016). Si tratta di incontri in cui vengono discussi aspetti particolarmente critici dell'accordo. Ad esempio, nel decimo round, tenutosi nel luglio 2015, si è discusso della privatizzazione dei servizi pubblici come l'acqua, uno degli aspetti che più preoccupa gli oppositori dell'accordo.
I negoziati avrebbero dovuto concludersi alla fine del 2015, scadenza non rispettata. Attualmente, il presidente Obama fa pressioni affinché si giunga ad una conclusione prima della fine del suo mandato, nel gennaio 2017.

 

Le critiche degli oppositori

Coloro che sono contrari al TTIP temono che l'accordo sia sottoposto all'approvazione, dopo che tutto è stato deciso, senza che i cittadini abbiano la possibilità di dire la loro. La Commissione Europea mette a disposizione molti documenti, ma non rende noti i dettagli, ufficialmente per non favorire la controparte americana.
Una volta approvato l'accordo, sarà istituito un Consiglio per la Regolamentazione Cooperativa, che dovrà verificare che ogni nuova legge sia conforme ai dettami del TTIP. Sarà composto da rappresentanti del governo, del mondo economico e delle imprese e da giuristi. I critici temono che le imprese e fattori economici più in generale possano finire per esercitare un'influenza decisiva sulle nuove leggi, a discapito dei consumatori e dei lavoratori dipendenti e senza tener conto degli aspetti sociali ed ambientali.
Il TTIP non riguarderà il settore culturale. Si teme, però, che lo influenzi indirettamente, andando ad incidere, ad esempio, sul prezzo dei libri o sulle sovvenzioni al teatro ed al cinema e facendo sì che l'arte e la cultura siano considerate alla stregua di merci, a danno della pluralità culturale.
C'è il rischio anche di una diminuzione dei controlli e di un abbassamento degli standard qualitativi soprattutto nel settore alimentare. Negli Stati Uniti, ad esempio, è pratica comune disinfettare il pollame con il cloro, mentre in Europa non è consentito.
Un'altra preoccupazione è quella di mantenere la qualità dei servizi pubblici. L'apertura a investitori e imprese dall'estero e la loro possibilità di partecipare ad appalti pubblici potrebbero compromettere la qualità dell'erogazione dei servizi essenziali, quali acqua, luce e raccolta dei rifiuti, privilegiando l'aspetto economico a scapito di considerazioni sociali e ambientali.
Inoltre, consentire a investitori stranieri di poter risolvere contenziosi con i singoli stati di fronte ad un collegio arbitrale potrebbe portare all'instaurazione di una giustizia parallela, dalle conseguenze imprevedibili.
In quasi tutti i trattati commerciali ci sono clausole per la tutela di investitori stranieri, ai quali viene concesso di denunciare uno stato, qualora questo emani, ad esempio, delle leggi che possano violare il diritto alla proprietà privata. Il giudizio sarebbe affidato a collegi arbitrali formati da giuristi internazionali. Qualcosa di simile esiste già ed è l'ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes), un organismo della Banca Mondiale.
Un esempio di controversia in corso, è la richiesta di risarcimento per 4,7 miliardi di euro, inoltrata dalla svedese Vattenfall al governo tedesco per i danni derivanti dalla dismissione delle centrali nucleari, a seguito del disastro di Fukushima.

 

Quali i possibili vantaggi, secondo i sostenitori

Governi e imprese sono in genere molto favorevoli al raggiungimento di un accordo, che richiamerebbe in Europa investimenti stranieri e creerebbe nuovi posti di lavoro, oltre a favorire le esportazioni. Si creerebbe la più grande partnership commerciale del mondo, in grado di far concorrenza alla Cina, che negli ultimi decenni ha fatto sì che UE e Usa rappresentino solo il 15% della crescita economica mondiale, invece che il 50% come in passato. 
Si registrerebbe anche una diminuzione dei prezzi, soprattutto dei prodotti importati, grazie alla eliminazione dei dazi doganali e ad una maggiore concorrenza, a seguito di una più ampia offerta.

 

Cosa pensano i cittadini europei del TTIP

Oltre tre milioni dei 500 milioni di cittadini europei hanno firmato una petizione contro il TTIP, un numero considerevole se si pensa che si è trattato di un'iniziativa spontanea partita da un gruppo di cittadini.
Contraria è la maggioranza della popolazione nei paesi di lingua tedesca, Germania e Austria, e in Lussemburgo. Più i favorevoli, invece, in Irlanda, Polonia, Olanda e nei paesi baltici. In Italia, un sondaggio ha rivelato che il 58% è favorevole, il 22% contrario e il 20% non ha un'opinione.
In generale, però, c'è molta disinformazione e anche chi si è espresso in un senso o in un altro non lo ha fatto in modo consapevole e non conosce i possibili pro e contro del trattato.