Giovedì 17 giugno 2021 è andato live su Facebook Watch, il webinar Negoziazione e accesso umanitario in scenari di crisi. L'evento diffuso è parte delle iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario di Medici Senza Frontiere.

Tre ospiti: Antonio De Lauri (Direttore del Centro norvegese per gli Studi Umanitari ); Fabrizio Carboni (Direttore regionale della Croce Rossa Internazionale per il medio oriente); Duccio Staderini (Capo missione per Medici Senza Frontiere). Tre differenti prospettive d'ingaggio al tema proposto moderate da Fabrizio Maronta (Limes) nella rubrica periodica "Dialoghi geopolitici".

Il webinar, pensato e proposto per chiunque, introduce l'ABC del negoziato, o anche della diplomazia della negoziazione, nel distinguo di cosa significava essere un operatore umanitario prima dell'11 settembre e di cosa significa esserlo oggi, anche a causa della narrativa clash of civilizations. Durante la diretta, il pubblico invitato a porre domande agli ospiti ha trovato puntuale ed esauriente risposta anche per le domande più delicate, per quanto generiche. Una per tutte:

Si può negoziare con tutti o ci sono dei limiti? Domanda subito ampliata da Maronta con la conseguente: può accadere che la negoziazione sfoci nella rottura dei principi fondanti l'aiuto umanitario per arrivare alle persone vulnerabili?

Staderini: l'obiettivo è l'accesso, controllato dai buoni e i cattivi. Detto questo non è che se arriviamo in un posto e abbiamo accesso andiamo a vedere il capo clan, andiamo se ce n'è bisogno. E' chiaro che ci capita di incontrare dei criminali di guerra. Però se parlare con loro serve per salvare vite allora ci parliamo.

Carboni: il concetto di buono e cattivo è un concetto che diventa non direi relativo ma scivoloso perché dobbiamo accettare che la nostra visione è determinata dai nostri valori, dalla nostra cultura e dalla narrativa. I cattivi hanno una logica interna che è propria che può essere destabilizzante confrontarsi. Noi per la nostra sicurezza e capacità a lavorare nei posti più difficili dobbiamo parlare con tutti. Fa parte del nostro lavoro e ci chiediamo se vale la pena continuare, poi parliamo con la gente con cui lavoriamo che dice: sappiamo che è spiacevole, però dovete continuare ad avere questo dialogo perché senza questo dialogo è peggio per noi.

De Lauri: è importante capire che questo tipo di lavoro si può tradurre in effetti negativi per le popolazioni locali, in fallimenti. Nella fase della negoziazione ci sono modi di alterare dinamiche locali. Il rischio è che una figura marginale, non rappresentativa e con una interpretazione sballata dei principi della sua comunità venga condensata in una bolla che gli conferisce un po' più di prestigio. C'è un grosso rischio di turbare equilibri, e quindi  è prioritario porsi interrogativo sulle conseguenze e se il beneficio ultimo sulle persone sia necessariamente significativo.

Riguardo all'attualità della Libia, sia Carboni che Staderini hanno scelto di non rispondere "la Libia non si può commentare", perché le organizzazioni sono attualmente operative sul territorio. Precedentemente, il "no comment", la confidenzialità in scenari operativi, era stato spiegato in generale da Carboni da prospettiva Croce Rossa: "La confidenzialità ci aiuta a raggiungere un obiettivo, se non riusciamo allora la confidenzialità non esiste più… come accadde in Myanmar".

Sulle difficoltà incontrate sul territorio e le eventuali ostilità degli intelocutori, Carboni risponde su linea comune: "Noi dobbiamo capire che certe comunità hanno vissuto isolati per tantissimo tempo, l'ostilità non è tanto per quello che vogliamo fare ma per come lo vogliamo fare. Preparando questa riunione, abbiamo descritto la percezione dell'azione umanitaria come un'espressione del neocolonialismo. Ergersi su un piedistallo morale è mal visto dalla gente che vogliamo assistere e aiutare, oltre alle autorità: non lo sopportano più e non lo accettano più e hanno ragione".

Questi sono alcuni dei frammenti di un dialogo durato oltre l'ora e venti, in cui s'incrociano e si sovrappongono tutti i sottotemi propri della negoziazione umanitaria, inclusa l'eventuale necessità di un supporto militare come anche i presupposti per cui è preferibile non attivarsi se i benefici portati sono inferiori alle conseguenze prodotte sulla popolazione locale. Traccia costante, e prospettiva dominante del dialogo, è l'attuale significato del termine negoziazione umanitaria: "La moltiplicazione degli attori umanitari, dei movimenti dal basso, di gruppi che sorgono in forma spontanea e si consolidano nel tempo, di gruppi politici che strumentalizzano, di aziende che affrontano l'aiuto umanitario pensato in termine di prodotto. Da cui la necessità di intesificare le negoziazioni e di professionalizzarle. Norvegia, Turchia, Qatar, Emirati, includono la diplomazia umanitaria nei loro documenti strategici".