L'8 marzo, dopo aver celebrato la Messa in privato, papa Francesco si è congedato dal personale della Nunziatura Apostolica che lo aveva ospitato durante la sua permanenza in Iraq e dall’Aeroporto Internazionale di Baghdad, dove è stato salutato dal Presidente della Repubblica e da sua moglie, è partito alla volta di Roma a bordo di un A330. L’areo, decollato alle 7.54 ora di Roma è atterrato all’aeroporto di Roma-Ciampino alle ore 12.20.

Di seguito, alcuni stralci della consueta intervista che il pontefice ha concesso ai giornalisti accreditati, presenti sul volo, che lo hanno accompagnato durante il viaggio.


In che misura l’incontro con Al Sistani era anche un messaggio anche verso i capi religiosi dell’Iran?
Io credo che sia stato un messaggio universale Ho sentito il dovere di fare questo pellegrinaggio di fede e di penitenza, e di andare a trovare un grande, un saggio, un uomo di Dio: soltanto ascoltandolo si percepisce questo. Parlando di messaggi, direi che è un messaggio per tutti, e lui è una persona che ha quella saggezza e anche la prudenza. Mi diceva: “Io da 10 anni non ricevo gente che viene a visitarmi con altri scopi politici e culturali… soltanto religiosi. E lui è stato molto rispettoso, molto rispettoso nell’incontro. Io mi sono sentito onorato. Anche al momento del saluto, lui mai si alza… Si è alzato per salutarmi, per due volte, un uomo umile e saggio, a me ha fatto bene all’anima questo incontro. È una luce, e questi saggi sono dappertutto perché la saggezza di Dio è stata sparsa in tutto il mondo. Succede lo stesso con i santi che non sono solo coloro che sono sugli altari. Succede tutti i giorni, quelli che io chiamo i santi della porta accanto, uomini e donne che vivono la loro fede, qualsiasi sia, con coerenza. Quelli che vivono i valori umani con coerenza, la fratellanza con coerenza. Credo che dovremmo scoprire questa gente, metterla in evidenza, perché ci sono tanti esempi… Quando ci sono scandali anche nella Chiesa, tanti, e questo non aiuta, ma facciamo vedere la gente che cerca la strada della fratellanza, i santi della porta accanto, e troveremo sicuramente gente della nostra famiglia, qualche nonno qualche nonna.


Il suo viaggio ha avuto una enorme ripercussione in tutto il mondo, crede che potrebbe essere “il viaggio” del pontificato?
Anche si è detto che fosse il più rischioso. Ha avuto paura in qualche momento del suo viaggio? Sta per compiere l’ottavo anno del suo pontificato, continua a pensare che sarà corto?

Io per prendere una decisione sui viaggi ascolto, ascolto il consiglio dei consiglieri e talvolta viene qualcuno e dice: cosa ne pensi, devo andare in quel posto? A me fa bene ascoltare, questo mi aiuta a prendere più avanti delle decisioni. Ascolto i consiglieri e alla fine prego, rifletto tanto, su alcuni viaggi io rifletto tanto. Poi la decisione viene da dentro, di pancia, quasi spontanea, ma come frutto maturo. È un percorso lungo. Alcuni sono più difficili altri più facili. La decisione su questo viaggio viene da prima, dalla ambasciatrice, medico pediatra che è stata rappresentante dell’Iraq: brava, brava, ha insistito. Poi è venuta l’ambasciatrice presso l’Italia, lei è una donna di lotta. Poi è arrivato il nuovo ambasciatore in Vaticano. Prima era venuto il presidente. Tutte queste cose mi sono rimaste dentro. Ma c’è una cosa dietro la decisione che io vorrei menzionare: una di voi mi ha regalato l’ultima edizione spagnola del libro “L’Ultima ragazza” di Nadia Mourad. Io l’ho letto in italiano, è la storia degli yazidi. E Nadia Mourad racconta cose terrificanti. Io vi consiglio di leggerlo, in alcuni punti potrà sembrare pesante, ma per me questo è il motivo di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro. Anche quando ho ascoltato Nadia che è venuta a raccontarmi delle cose terribili… Tutte queste cose insieme hanno fatto la decisione, pensando tutte le problematiche, tante. Ma alla fine è venuta la decisione e l’ho presa. Poi sull’ottavo anno del pontificato. Devo fare così? (il Papa incrocia le dita in segno scaramantico, ndr). Non so se i viaggi si realizzeranno o no, solo vi confesso che in questo viaggio mi sono stancato molto di più che negli altri. Gli 84 anni non vengono soli, è una conseguenza... ma vedremo. Adesso dovrò andare in Ungheria alla Messa finale del Congresso Eucaristico internazionale, non una visita al Paese, ma soltanto per la messa. Ma Budapest è due ore di macchina da Bratislava, perché non fare una visita in Slovacchia? È così che vengono le cose...


Abbiamo visto il coraggio, il dinamismo dei cristiani iracheni, abbiamo visto anche le sfide che devono affrontare, la minaccia della violenza islamista, l’esodo e la testimonianza della fede nel loro ambiente. Queste sono le sfide dei cristiani in tutta la regione. Abbiamo parlato del Libano, ma anche la Siria, la Terra Santa. Dieci anni fa si è svolto un Sinodo per il Medio Oriente ma il suo sviluppo è stato interrotto dall’attacco alla cattedrale di Baghdad. Pensa di realizzare qualcosa per l’intero Medio Oriente, un sinodo regionale o qualsiasi altra iniziativa?

Non sto pensando a un Sinodo, sono aperto a tante iniziative ma un Sinodo non mi è venuto. Lei ha buttato il primo seme, vediamo. La vita dei cristiani è travagliata, ma non solo quella dei cristiani, abbiamo parlato degli yazidi… E questo, non so perché, mi ha dato una forza molto grande. C’è il problema della migrazione. Ieri mentre tornavamo in macchina da Qaraqosh a Erbil, vedevo tanta gente, giovani, l’età è molto molto bassa. E la domanda che qualcuno mi ha fatto: ma qual è il futuro per questi giovani? Dove andranno? In tanti dovranno lasciare il Paese. Prima di partire per il viaggio l’altro giorno, venerdì, sono venuti a congedarmi dodici iracheni profughi: uno aveva una protesi alla gamba perché era scappato finendo sotto i camion e aveva avuto un incidente. La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare, diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano. L’altra volta mi diceva un sociologo italiano parlando dell’inverno demografico in Italia: entro quarant’anni dovremo “importare” stranieri perché lavorino e paghino le tasse delle nostre pensioni. Voi francesi siete stati più furbi, siete andati avanti di dieci anni con la legge a sostegno della famiglia, il vostro livello di crescita è molto grande.Ma la migrazione la si vive come un’invasione. Ieri ho voluto ricevere dopo la messa, perchè lui lo ha chiesto, il papà di Alan Kurdi, questo bambino, che è un simbolo, Alan Kurdi è un simbolo: per questo io ho regalato la scultura alla FAO. È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione, un simbolo di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere, un simbolo di umanità. Servono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nei propri Paesi e non debba migrare. E poi misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere perché non è soltanto la capacità di ricevere e lasciarli sulla spiaggia. È riceverli, accompagnarli, farli progredire e integrarli. L’integrazione dei migranti è la chiave. Due aneddoti: a Zaventem, nel Belgio, i terroristi erano belgi, nati in Belgio ma emigrati islamici ghettizzati, non integrati. L’altro esempio, quando sono andato in Svezia, la ministra che mi congedava era giovanissima e aveva una fisionomia speciale, non tipica degli svedesi. Era figlia di un migrante e di una svedese, così integrata che è diventata ministro. Pensiamo a queste due cose, ci faranno pensare tanto: integrare. Sulle migrazioni, che credo sia il dramma della regione. Io vorrei ringraziare i Paesi generosi che ricevono i migranti: il Libano che ha, credo, due milioni di siriani; la Giordania - purtroppo non ci passeremo sopra e il re voleva farci un omaggio con gli aerei al nostro passaggio - è generosissima: più di un milione e mezzo di migranti. Grazie a questi Paesi generosi! Grazie tante!


In tre giorni in questo Paese chiave del Medio Oriente ha fatto quello che i potenti della terra discutono da trent’anni. Lei ha già spiegato qual è la genesi interessante dei suoi viaggi, come nascono le scelte dei suoi viaggi, ma adesso in questa contingenza, guardando al Medio Oriente, può mettere in conto un viaggio in Siria? Quali possono essere gli obiettivi da qui un anno di altri luoghi in cui è richiesta la sua presenza?

In Medio Oriente soltanto l’ipotesi, e anche la promessa, è il Libano. Non ho pensato a un viaggio in Siria, perché non mi è venuta l’ispirazione. Ma sono tanto vicino alla martoriata e amata Siria, come io la chiamo. Io ricordo all’inizio del pontificato quel pomeriggio di preghiera in piazza San Pietro, c’era il rosario, l’adorazione del Santissimo. Ma quanti musulmani con i tappeti a terra pregavano con noi per la pace in Siria, per fermare i bombardamenti, in quel momento in cui si diceva che ci sarebbe stato un bombardamento feroce. La porto nel cuore la Siria. Ma pensare un viaggio, non mi è venuto».