Si è dissolta a maggio dello scorso anno, per  Benjamin Netanyahu, la speranza di poter rimanere alla guida del Governo  israeliano, nonostante i suoi 72 anni, di cui ben 15 trascorsi da premier. 

Netanyahu non ha mandato giù né che il suo ex pupillo Naftali Bennet lo abbia sostituito alla guida del Paese, per di più con una maggioranza di cui non fa parte il Likud (il suo partito), né che l'attuale governo non sia ancora caduto.

Ma ad essere di impedimento al suo ritorno alla guida del Paese, per Netanyahu sono soprattutto i guai giudiziari che lo tengono occupato da mesi in un procedimento penale che lo vede accusato di ben tre distinti casi di corruzione finalizzati anche a favorire la sua rielezione. 

Per liberarsi da tale zavorra, piuttosto ingombrante considerando che solo una delle accuse prevede una pena detentiva fino a 10 anni, Netanyahu starebbe negoziando un patteggiamento con relativa ammissione di colpevolezza e un periodo di tempo da dedicare al servizio civile, evitando così il carcere.

Il problema da risolvere con il procuratore generale Avichai Mandelblit, che secondo i media israeliani sarebbe colui che sta verificando la possibilità di mandare in porto tale trattativa, è però quello di evitare per Netanyahu che, una volta dichiaratosi colpevole, scatti l'interdizione dai pubblici uffici, che gli impedirebbe di proseguire la sua attività in Parlamento.

In attesa di capire se i due riusciranno a trovare la formula alchemica per soddisfare Netanyahu e salvare la faccia al sistema giudiziario dello Stato ebraico, gli israeliani, in un sondaggio sull'argomento, hanno dichiarato - in maggioranza - che a decidere il destino di Netanyahu debba essere la sentenza di un tribunale e non il patteggiamento.