C’era una volta il politicamente corretto, con la sua implicita ma palese volontà di imporre nuove convenzioni e schemi sociali, e di conferire all’uomo l’assoluta supremazia sull’universo, con la conseguente possibilità, anzi necessità, di cancellare norme e regole, e di riscrivere leggi e codici; la forzatura ideologica in nome della quale vita e società possono essere regolate in base ai soggettivi bisogni e ai mutevoli desideri di ciascuno, rendendo vero e giusto tutto e il contrario di tutto; una sorta di neo illuminismo globale che sovverte tradizioni e valori, che si permette di correggere e riscrivere la storia e di correggere l’attualità; che suggerisce ad alta voce di emanciparsi da costumi e pratiche religiose retrograde e conformiste per abbracciare definitivamente una nuova moderna società laica, non più imbrigliata in rigidi schemi e stucchevoli canoni etici e morali, ma fluidamente libera di rimpiazzare limiti e inibizioni con soggettive interpretazioni universali; la nuova religione civile che predica la celebrazione dei diritti e l’abbandono dei doveri.
Ora, invece, scopriamo anche il politicamente corretto preventivo, quello che mette le mani avanti perché teme che il nuovo ordine naturale imposto possa subire il colpo di coda reazionario dell’avversario conservatore che cerca impunemente di sottrarsi all’egemonia ideologica corrente continuando a riferirsi ad un comune senso della vita e della natura.
Ecco che così una pubblicità in cui si evidenzia il “naturale” desiderio di una bambina di ricongiungere una famiglia evidentemente separata, diventa terreno non di scontro culturale bensì il pretesto per attaccare frontalmente la maggioranza silenziosa; la pesca, che nell’intento della bambina potrebbe riportare la pace, diventa il frutto proibito da non cogliere per non rompere i nuovi equilibri artificiali appena sanciti.
Pur ammettendo l’eventuale utilizzo strumentale dello spot, il cui scopo principale è comunque far parlare di sé, non si capisce dove siano l’offesa o l’oltraggio, l’affronto o la provocazione rivolte al mondo arcobaleno e ai suoi derivati; non si capisce dove sia la trasgressione o dove si configuri la negazione o la violazione di qualche diritto civile, né si può accettare passivamente la reprimenda che la cultura e il mondo LGBT muovono verso chi ancora immagina la famiglia come la definiva Aristotele, ovvero l’aggregazione che comprende gli elementi necessari e sufficienti a garantire l’autosufficienza del gruppo umano: l’uomo e la donna per la complementarità dei sessi nella generazione e nell’educazione dei figli; la famiglia come il nucleo fondamentale della società, il suo primo mattone costitutivo: senza la famiglia non esisterebbe il resto della comunità politica.
Perché qualunque altra visione di famiglia, da quella formata da coppie omosessuali fino a quella di ultima generazione detta “queer”, è senz’altro da rispettare ma non obbligatoriamente da condividere; si può scegliere la propria famiglia o decidere di produrne una in base ai propri desideri, relativizzando l’etica e forzando l’ordine naturale delle cose, nonostante l’assoluta devozione alla Dea Ecologia che proprio quest’ordine dovrebbe mantenere; ma non si può negare l’evidenza della famiglia naturale come originaria unione in cui si generano legami e affetti talvolta indipendenti dalle nostre soggettive volontà, spontanei e istintivi.
Pur ricordando che parliamo di uno spot pubblicitario, se neghiamo ad una bambina di desiderare di riunire la sua famiglia naturale, vuol dire che neghiamo quel modello come positivo e accettabile, vuol dire che in nome della tolleranza si diventa intolleranti, esclusivi in nome dell’inclusione.
I media e il web sono ormai massicciamente invasi dalla rappresentazione delle forme alternative alla famiglia “tradizionale”, con implicite apologie e appassionate autodifese che è proibito contraddire o confutare; ci vengono imposte come i nuovi paradigmi sociali, nuovi dogmi laici da accettare e promuovere.
Senza idealizzare la famiglia a cui Aristotele fa riferimento, pur cogliendone i limiti e le carenze che l’attuale società individualista contribuisce a mettere a nudo, credo si possa e si debba comunque considerare come il riferimento da difendere e da tutelare, la bussola su cui puntare per evitarne una deriva sociale attesa e auspicata da chi, senza mezzi termini, vorrebbe cancellarla.
Senza quantificare maggioranze o minoranze e fermo restando che ogni forma di intolleranza e rifiuto della diversità altrui va combattuta e punita, e che chiunque è libero di scegliere il proprio modello di vita, va ribadito definitivamente che nessuno ha il diritto di imporre schemi culturali e sociali che discriminino gli altri, più o meno tacitamente, relegandoli al disprezzato ruolo di conformisti farisei.
Si può partire da interpretazioni diverse, scegliere diverse condotte o assumere diversi atteggiamenti, ma non si può prescindere da un civile reciproco riconoscimento.
Da conservatore vi chiedo di lasciarci crogiolare nel nostro arretramento culturale e intellettuale, e di lasciarci ingenuamente fare ancora colazione con una pesca nella casetta del Mulino bianco…