Fine di un percorso...

Ho visto anche degli zingari felici (idem, Claudio Lolli) 

Quella raccontata è un’esperienza personale. Di due genovesi che, come tutti i genovesi, osservavano senza troppo mischiarsi. Il viaggio dentro me stessa è stato incomparabilmente più faticoso, le mie categorie mentali mutavano in continuazione. Ho scoperto che quando partivo, in realtà non vedevo l’ora di tornare: non ero disposta a cambiare, ma desideravo incasellare qualche immagine nella memoria da consultare nei momenti tristi, ferma alla scrivania a programmare la prossima evasione.

Non ho mai filmato nulla e ho scattato pochissime foto: in realtà i ricordi vengono conservati dal cuore, anche quelli che a un certo punto vorresti cancellare. La poetica personale, quando non raggiunge vette rimarchevoli, permette soltanto di rappresentare un’ intima esperienza, la nostra vita.

Continua a piacermi la pratica del turismo: essa ha permesso a tanti normali e tranquilli cittadini, che in altri tempi mai avrebbero varcato i confini nazionali, per non dire regionali, di vedere cose e fare esperienze nuove. Un tempo accadeva di non oltrepassare i confini del proprio paese. I contadini del sud, quelli che io conoscevo, viaggiavano per emigrare o non si muovevano da casa se non per matrimoni e processioni. La transumanza era un’avventura epica, poteva accadere di tutto. Il rientro alla propria casetta che dava in un vicolo cieco era come il ritorno all’attico del Quinta strada: un sollievo.

Oggi bisogna muoversi, vedere, agire: l’immobilità cui siamo costretti libera energie incontrollabili. 

CI SONO TANTI BEI POSTI IN ITALIA... dice il saggio. Ho spesso assaggiato la confusione di Roma e dei suoi meandri ministeriali in cui ho dovuto tante volte aggirarmi, ma la adoro. E’ lo scenario più frequente dei film che ho tanto amato; e poi, non sarebbe male assorbire la mentalità dei romani, aiuterebbe a vivere meglio. Ora che ci penso, dei romani di una volta.

Ho idealizzato Firenze, nonostante le  code ai musei che mi facevano gonfiare le gambe per un fuggevole sguardo alla Venere di Botticelli: ma che città! La città. E che caratterino, i cari fiorentini. Bologna:ci ho mangiato tanto, troppo bene:per preservare la linea, non ci sono più tornata. Le Alpi: l’ex marito mi massacrava di escursioni che mi facevano sbalzare la pressione, e talvolta, alla sua guida, ci perdevamo tra i sentieri.

A Crissolo ho visto la foce del Po’ prima che i raduni padani lo rendessero alla moda. C’era una bella, lunga e buia grotta da esplorare,  dotata ci corso acqueo: ci dettero due torce, ma non ci avvisarono del pericolo e rischiammo di rimanerci. Venezia: si sa, il giro in gondola è costoso. Sardegna e Sicilia: incredibile, solo sfiorate. Nella prima, ci andavano tutti i vicini di casa, vorremo mica incontrarci anche lì? La seconda? Dopo Falcone e Borsellino, mi era un po' andata di traverso. A Napoli temevo sempre scippi e borseggi alla Totò e la costiera amalfitana è snob. L'Umbria è troppo mistica per una material girl come me. La riviera adriatica ha l'acqua bassa, anche se nuoto come una papera non mi piace il pediluvio. La Calabria come mare  è a posto, magari un po' turbolenta; la Puglia è bella, un po' piatta, magari...Sono incontentabile.

 Vorrei invece  rivedere le immense distese dei pianori lucani della mia infanzia,  greggi e mandrie, case sparse e masserie; lo sguardo sfuggente dei contadini, il sole che inondava il mattino operoso, la vita che scorreva senza soluzione di continuità, tra nascite e morti e feste un po’ religiose e un po’ pagane; l’altura dello spoglio santuario del Carmine, da cui lo sguardo spaziava fino al mare. E quegli odori…se potessi risentirli per un poco, il tempo di ritrovare l’anima del bambino: le piccole mele, la farina, il pane fresco di forno, la stalla. Retorica? Pardon.  

E la mia  Liguria. Cosa scorgo? Un’altura sopra Albisola, da cui nelle limpide giornate vedevo la Corsica sconosciuta; Triora bella delle streghe; Bordighera solare e fiorita; I vicoli di Toirano, di Bussana, di Noli, Varigotti, Spotorno; le arrampicate a Cervo, a Final  Borgorgo; l’elegante Alassio, la deliziosa e piccola Laigueglia. Il monte di Portofino: se lo percorrete a piedi, vi imbattete in scorci mozzafiato;Il golfo di Lerici, le Cinque Terre: una luminosità senza confini; Tellaro: da vedere prima di morire. E Genova.

 "Il nostro concerto" di Bindi, "Amore che vieni, amore che vai" di Faber, e sono di nuovo bimba in “quella” Genova: Caricamento, i vicoli, il porto, le grida dei “bisagnini”*. Sgranavo gli occhi davanti a certe fascinose “mondane”, come allora si diceva: prostitute con le calze a rete e gli occhi bistrati e i tacchi a spillo, in stile Monmartre o Irma la Dolce. La Mafalda! Pesava forse  più di cento chili ed era stata una famosa “maitresse” nei tempi che furono. Abitava vicino a noi, ai tempi in cui le “case” erano state da poco abolite e ancora arruolava per servizi casalinghi: molte sposine ci cascavano ed erano liti coniugali nei ballatoi. Qualcuno sosteneva che erano sceneggiate e che i mariti fossero d’accordo. E quell’attempata ungherese, sempre in vestagliona di seta e capelli tinti in biondo rossiccio, di cui dicevano che avesse esercitato in alto bordo; mi accarezzava sempre la testa dicendo “bella bambina”. Città di donne sole, già da allora.

E’ faticoso vivere a Genova e anche visitarla richiede una certa resistenza fisica: saliscendi, creuze  (non “de mae*”, ma di mattoni e di “risseu”. E’ lunga e stretta, ma i suoi scorci…chi li ha visti, non li dimentica.