La questione legata alla foto di Chiara Ferragni scattata davanti alla Venere del Botticelli è del tutto marginale. Lei come altri ha tutto il diritto di farsi fotografare accanto a un capolavoro esposto in un museo.

Se Sandra Milo 50 anni fa avesse fatto la stessa foto sarebbe finita al massimo su Novella 2000 o forse da nessuna parte. Nessuno avrebbe dato peso alla notizia.

C’erano i musei, le opere d’arte, c’era la cultura e poi c’era il gossip. Due mondi separati che convivevano serenamente al cospetto di donne e uomini che sapevano interpretare la diversità tra le due proposte.

Sconcertante è però la giustificazione non richiesta che ha fornito Eike Schmidt, direttore della galleria degli Uffizi. Il povero Schmidt si è andato ad arrampicare su una serie di spiegazioni che lo hanno fatto naufragare nel ridicolo. Tra le sue frasi sconnesse spiccano “speravamo di aprire un dibattito” e ancora “accostamento tra antico e moderno” e altre scemenze che manifestano un imbarazzante squallore intellettuale.

Il caro direttore Schmidt ha veramente perso un’occasione per stare zitto. Il successo, che lui come tanti altri descrive utilizzando il parametro dei numeri, sancisce in questo caso due principi.

Il primo si ricava facilmente ragionando sui 3 mila visitatori al giorno (nei due giorni del finesettimana) avuti dopo la foto ingiustamente incriminata. Se Chiara Ferragni in 10 secondi fa una foto raggiunge milioni di persone nel giro di qualche ora. Se i numeri sono quindi un indicatore di valore e qualità dobbiamo purtroppo rilevare che gli Uffizi corrispondono a una caccola della Ferragni. Il discorso sui numeri sarebbe meglio lasciarlo perdere: è un’argomentazione stupida e miserevole.

Il secondo principio, ben più grave, convalidato da Schimdt, riguarda le modalità di coinvolgimento del pubblico, in particolare dei giovani. Se serve una influencer per portare i ventenni nei musei credo che abbiamo qualche problema. È la dichiarazione di resa e di sconfitta nei confronti di una modalità che ha invaso le nostre coscienze e che governa le nostre vite. Una dimensione lontana anni luce dai sentimenti che dovrebbero spingere i giovani e tutti noi a recarci in un museo, in un cinema, in un teatro.

C’è infine un terzo aspetto che non deve essere dimenticato ed è quello della giustificazione del peggio e l’accettazione della sua inevitabilità, un atteggiamento che serve a mascherare un crollo trasformandolo in vittoria.

Su questa mistificazione si sta capovolgendo un sistema di valori e i danni che si provocano alla collettività con questa continua truffa sono incalcolabili.

Non tutti vogliono vivere in un mondo che sceglie e si muove sugli stimoli lanciati da Instagram. E questa è una variabile che andrebbe considerata perché solo il cielo sa quanto avremo bisogno di quel sistema di valori che appaiono sempre più lontani dalle nostre esistenze.

Stefano Pierpaoli