Per tante sottili ragioni ci ritrovianmo incapaci di perdonarci per qualcosa che abbiamo fatto o mancato di fare in passato. Ci portiamo addosso il peso morto degli errori accumulati, dei lavori non conclusi, delle difficoltà relazionali, delle dispute irrisolte, delle ambizioni non soddisfatte, nostre e altrui. Non ci sono sempre eventi traumatici, tuttavia l'esperienza rivela alcuni aspetti della mente che tutti condividiamo: la difficoltà a lasciar andare il passato, la tendenza a rimuginare su cose che sono o non sono successe, la tendenza a preoccuparci in anticipo di cose che non sono ancora accadute. Quando la mente entra in quel tipo di dinamica e non riesce più a uscirne, ci si puó ritrovare ossessionati. Per quanti sforzi si facciano non si riesce a sganciarla dai suoi scopi e dalle sue fantasie e si entra in uno stato chiamato "di ingaggio doloroso" di fatto, in momenti del genere si può perfino avere l'impressione che se mai ci si permettesse di recuperare la felicità si tradirebbe un qualche principio o qualche persona. Non è difficile rendersi conto della ragione per cui chiunque di noi si può sentire in colpa quasi tutto il tempo. C'è l'abbiamo intorno: la società occidentale si è costruita sul terreno della colpa e della vergogna. Possiamo sentirci in colpa per non riuscire a tar fronte alle cose, in colpa per essere una persona cattiva, un cattivo marito, padre, fratello, figlio, una cattiva moglie, madre, sorella, figlia; in colpa per non aver realizzato le nostre potenzialità. Possiamo vergognarci di non vivere secondo le nostre aspettative, o di sentirci arrabbiati, pieni di amarezza, gelosi, tristi, meschini, disperati. In colpa perché ci godiamo la vita. In colpa perché siamo felici...

Alla base di molti di questi sensi di colpa e di vergogna sta la paura, quel personaggio prepotente che ci portiamo sempre nella testa: paura di non essere abbastanza bravi, paura di cominciare a fare errori appena ci rilassiamo un poco, paura che se sganciamo il guinzaglio a noi stessi vada tutto a catafascio, paura che se non ci manteniamo sulla difensiva saremo sopraffatti... E se abbiamo paura che gli altri ci critichino, perché non andare sul sicuro accusandoci noi per primi con qualche bella critica fatta in casa?

Una paura ne porta un'altra che ne alimenta un'altra, in un ciclo infinito e debilitante che ci risucchia via l'energia, lasciandoci come conchiglie vuote alla deriva della vita.

C'è anche un'altra componente che può facilmente passare inosservata: il tema dell'irreversibilità di tutti i pensieri. Sotto pressione e in pieno stress post-traumatico, si può avere l'impressione che la vita abbia subito un danno irreversibile, di aver perso qualcosa che non sarà mai più ritrovato. Chiunque di noi puó cadere nella stessa trappola mentale. Possiamo portarci dentro la segreta convinzione che, dato quel che ci è successo, nulla potrà più essere come prima.

Come mai? La risposta sta nel nostro modo di ricordare gli avvenimenti del passato. La ricerca scientifica ha fatto grandi progressi nella comprensione di come funziona la memoria degli eventi della nostra vita, e di come si possa alterare. Per alcuni anni, Mark Williams e i suoi colleghi hanno condotto esperimenti in cui ai volontari si chiedeva di richiamare alla memoria un evento del passato che li aveva resi felici. Non doveva essere per forza un avvenimento importante, anzi, anche uno durato meno di una giornata, in un periodo qualunque del proprio passato. La maggior parte di noi trova facile ricordare qualcosa del genere: ricordiamo quando abbiamo ricevuto una buona notizia o un panorama mozzafiato durante una passeggiata fra le colline, il primo bacio, una giornata passata in giro con un caro amico. La memoria opera con facilità, recuperando un avvenimento specifico, una cosa successa in un giorno ben preciso, a una certa ora e in un dato luogo (anche se non riesci a ricordare esattamente quando è successa).

Non sempre è facile essere specifici. La ricerca ha scoperto che se in passato abbiamo vissuto eventi traumatici, oppure se siamo depressi o esausti o bloccati a rimuginare una preoccupazione per quel che proviamo, la nostra memoria mostra schemi d'attività differenti: invece di ripescare un singolo evento specifico, il processo di recupero si ferma poco dopo la fase iniziale del richiamo alla memoria, ossia dopo aver riportato a galla un insieme sommario di eventi. Spesso il risultato è quello che chiamano "una memoria iper-generalizzante" e la memoria si ferma prima di fornire un episodio in particolare.

Le ricerche condotte da un team ad Oxford e in altri laboratori in tutto il mondo hanno scoperto che si tratta di uno schema comunissimo per alcune persone, in particolare per chi è troppo stanco o sotto pressione per pensare bene, per chi va soggetto a depressione o ha avuto una vita segnata da eventi traumatici. Al'inizio non era chiaro quale impatto potessero avere queste difficoltà di memoria. Poi si scoprì che quanto più le persone tendevano a recuperare ricordi in questa modalità specifica, tante più difficoltà avevano a lasciar andare il passato, oltre a essere più condizionate dalle cose che andavano storte nella loro vita presente e a trovare più complicato ricostruirsi una vita dopo un evento sconvolgente.

Per esempio, nel 2007 il professor Richard Bryant di Sydney scoprì che quei pompieri che al momento di prendere servizio mostravano di avere una memoria basata su questo schema, in seguito sarebbero rimasti più traumatizzati degli altri dagli eventi di cui erano testimoni nell'esercizio degli stressanti compiti imposti dal loro mestiere. Un altro collega, il professor Anke Ehlers, ha scoperto che le persone che presentano questo schema di memoria iper-generalizzante, se subiscono un'aggressione sono più soggette delle altre a soffrire di disturbo da stress post-traumatico. Ulteriori ricerche l'hanno portato a scoprire che a quella difficoltà di memoria si accompagna la tendenza a rimuginare sull'accaduto e anche, cosa importante, la sensazione che l'aggressione abbia cambiato le cose in modo permanente e irreversibile.

Quello che capiamo da questa ricerca è un dato di enorme importanza: la sensazione che le cose siano irreversibili, o che si sia subito un danno permanente, non è che un'aspetto molto "tossico" di uno schema mentale. Certo, è uno schema mentale nel quale ci possiamo incastrare facilmente, perché è il pensiero stesso che sembra affermare: "lo sono permanente, non c'è nulla che tu possa fare per mandarmi via: starò con te per sempre". Questo senso di permanenza sorge dalla nostra tendenza a lasciarci intrappolare nel passato, a ricordare gli avvenimenti in modo iper-generalizzante. E questa iper-generalizzazione è alimentata da una tendenza a reprimere e cancellare il ricordo degli avvenimenti che non ci piacciono, oppure a rimuginarci sopra. Cancellazione e ruminazione sono attività faticosissime, e anche questo alimenta la memoria iper-generalizzante. Una volta che i nostri ricordi sono iper-generalizzati non riprendiamo in considerazione le specifiche caratteristiche di quel che è realmente accaduto nel passato. Ci lasciamo invece prendere e intrappolare dai sensi di colpa per I'accaduto o dalla disperazione che nulla possa mai cambiare in futuro. Questi pensieri sembrano permanenti. La buona notizia è che sono temporanei. A dispetto della forza persuasiva che dispiegano, possono cambiare. La ricerca ha scoperto che otto settimane di allenamento alla consapevolezza rendono più specifici i ricordi. La consapevolezza ci libera dalla trappola dell'iper-generalizzazione. (Mindfulness)