Avvocato Alessandro Numini, Penalista ed esperto di Violenza di Genere da più di 10 anni.

Impegnato in processi per "femminicidio", violenza sessuale e abusi su minori nei vari Tribunali Italiani.

Attualmente Presidente della Cooperativa Sociale Sophia "Il diritto di esistere" per la lotta alla violenza di genere.

1) Perché è importante parlare di Violenza di Genere?

"Quello della violenza di genere è un tema di cui siamo abituati a sentirne parlare con il voyeurismo tipico della cronaca nera. Ma questo è il modo peggiore di affrontare il tema della violenza di genere. Le parti, in causa, sono tantissime: dalle vittime di violenza che decidono di farsi carico di una azione giudiziaria, oltre alle fondamentali testimonianze circa le loro drammatiche esperienze, ai Centri anti violenza, alle Forze dell’Ordine specializzate, alle aule di Giustizia, dove spesso, tante persone offese non vengono ancora credute. È importante parlarne, perché conoscenza e sapienza sono i migliori deterrenti alla commissioni di reati della stesse specie e alla loro prevenzione. In particolar modo, informare aiuta le potenziali vittime a riconoscere i comportamenti violenti, a rivolgersi immediatamente a professionisti che possano aiutarli, a distinguere i vari tipi di violenza: psicologica, domestica, economica, assistita ecc. Inoltre, vi è un sottobosco di aiuti gridati sottovoce, mi consenta l’ossimoro, che non non trova giustizia ed è importante che ognuno di noi, sulla base di una coscienza civile, si senta protagonista di questa battaglia culturale. Non è più possibile voltarsi dall’altra parte, in presenza di un comportamento violento, perché, da oggi, gli spettatori di violenze saranno considerati complici di tanto dolore".

 

2) Perché le donne non denunciano?

"La risposta è incredibilmente complessa, ma, soprattutto, la domanda è sbagliata! In particolare, quando è posta alle dirette interessate, perché nel momento in cui chiediamo a una vittima spiegazioni, in merito alla violenza subita, invece di prestarle assistenza, stiamo parlando di vittimizzazione secondaria: “colpevolizzazione della vittima”. La vittima, magari nel momento in cui trova la forza di denunciare, viene sottoposta a una trafila di domande, richieste di spiegazioni di dettagli superflui che, spesso, portano la persona a rivivere la violenza subita, processo che viene paragonato a una nuova violenza, portando a questa nuova vittimizzazione, detta secondaria. Ciò avviene, perché si parte, spesso anche inconsciamente, dal presupposto di dover trovare una qualunque incoerenza nella narrazione che porti la denuncia a perdere fondamento, minando, quindi, la credibilità della vittima. È importante non sottovalutare la necessità dell'indagine legale, per far chiarezza sul caso e sulla denuncia: il problema, spesso, sta nel come questi processi sono strutturati e degli errori sessisti dei professionisti e delle professioniste che rischiano di martoriare ulteriormente la vittima. Nelle sentenze, ad esempio, vengono, poi, spesso inseriti dettagli o osservazioni che poco hanno a che fare con il caso in sé, ma che, anche quando dalla parte della vittima, insinuano dubbi sulla credibilità e distolgono l'attenzione dal problema della violenza di genere in quanto fenomeno".

 

3) Secondo Lei, Avvocato, quali sono alcune motivazioni che possono scoraggiare una donna dal denunciare una violenza commessa da un uomo?

"Sicuramente, la paura di non essere creduta, il timore di essere attaccata in un momento di estrema vulnerabilità, la concreta possibilità di una vittimizzazione secondaria a livello sociale, mediatico e giuridico, i possibili comportamenti ritorsivi da parte dell’ex compagno o marito. Aggiungerei anche il giudizio della famiglia di origine, il timore di deludere parenti e amici, di essere considerata debole, stupida, ingenua. Per fortuna, qui, entrano in gioco i centri antiviolenza, strutture indispensabili per le donne vittime di violenze e gli eventuali minori a carico, che incentrano il proprio lavoro sulla tutela della donna che chiede assistenza. Le donne che si sono rivolte a un centro antiviolenza in Italia, nel 2017, sono oltre 43000, di cui il 67% ha iniziato un percorso di recupero della propria stabilità emotiva. Il compito dei centri non è solo, come si pensa, quello di assistere la donna durante la separazione dal matrimonio, ma di svolgere una valutazione del rischio, ascoltare la donne, supportarle nel migliore dei modi".

 

4) Anche gli uomini subiscono violenza di genere? E nel caso, come reagiscono?

"È un tema poco dibattuto, ma altrettanto cruciale. La violenza di genere è un problema che ha una matrice culturale, pertanto, anche gli uomini ne sono vittima. Chiaramente, abbiamo numeri diversi, questo spinge le istituzioni verso una più attenta valutazione della situazione della donna, ma le vittime di violenza di genere, al maschile, sono considerevoli e apprezzabili di altrettanta cura. Penso ai tanti casi di separazioni con figli, dove il padre subisce vessazioni di ogni genere, che arrivano a distruggerlo psicologicamente, fisicamente ed economicamente o ai diritti LGBT+. Quanto alla reazione, invece, nell’uomo, vi è una sorta di imbarazzo nel denunciare le violenze subite. Anche queste potrebbe essere annoverata tra le espressioni più evidenti di “Patriarcato”, tema particolarmente in auge, per motivi assolutamente condivisibili. Ritengo che la violenza di genere debba essere una battaglia culturale condivisa da tutti, un moto dell’anima verso un rinnovato equilibrio sociale, dove ognuno possa esprimere se stesso, a prescindere dal genere".

 

5) Avvocato può spiegarci brevemente l’importanza del Codice Rosso e della nuova Riforma Cartabbia?

"La legge italiana 69, del 19 luglio 2019, denominata “Codice Rosso” contiene delle modifiche di natura penale, alla gestione di casi di violenza domestica e di genere. Una delle più importanti disposizioni della norma prevede l’accelerazione del provvedimento penale per alcuni reati, tra cui i maltrattamenti in famiglia, la violenza sessuale e lo stalking. L’obiettivo è quello di adottare tempestivamente provvedimenti di tutela delle vittime, in modo da prevenire il degenerare di situazioni di denuncia, in casi drammatici. Il Codice Rosso, inoltre, introduce quattro nuovi reati nel Codice Penale: il delitto di diffusione di immagini o video sessualmente espliciti, senza il consenso della vittima (il cosiddetto “revenge porn”), la deformazione dell’aspetto della persona, l’induzione al matrimonio e quello di violazione dei provvedimenti di allontanamento. Dal punto di vista delle sanzioni, il Codice Rosso inasprisce i termini già previsti nel Codice Penale e, in più, prolunga l’orizzonte temporale entro il quale la persona offesa è nella condizione di poter sporgere querela da 6 a 12 mesi, riconoscendo e tutelando il diritto delle donne vittime di violenza di elaborare il trauma in un tempo più consono. Per quanto concerne, invece, la riforma Cartabia, dal punto di vista della tutela delle donne vittime di violenza, le novità fondamentali previste dalla riforma sono due: il ruolo proattivo riconosciuto al giudice civile e l’obbligo di ascoltare la testimonianza dei minori, qualora presenti. Riguardo al primo punto, la Riforma prevede la possibilità che il giudice civile possa richiedere autonomamente degli atti o richiedere delle istruttorie d’ufficio, coinvolgendo anche direttamente le forze dell’ordine. La violenza può, quindi, essere accertata non solo dal giudice penale, ma anche da quello civile, che può muoversi più rapidamente, poiché non sottoposto alle regole garantiste del processo penale e che non deve limitarsi alla violenza fisica, ma può ravvisare anche altre forme di abuso, come la violenza psicologica o quella economica. Il giudice civile, abilitato a questi strumenti ulteriori di indagine, è nella situazione di poter rispondere meglio al quesito che, spesso, si pone sulle modalità di affidamento dei figli minori. Uno dei punti maggiormente criticati dalle associazioni attive, nella tutela delle donne vittime di violenza, è la mancanza di ascolto diretto da parte dei giudici dei minorenni coinvolti, preferendo la pratica dell’ascolto del testimone delegato a intermediari o CTU (consulenti tecnici d’ufficio). La riforma Cartabia impone l’obbligo di sentire il minore. La riforma mira ad affrontare e risolvere il problema della violenza domestica anche attraverso l’ascolto del minore. Accade che il bambino non voglia vedere il papà o la mamma, perché ha in mente un modello di genitore violento. Questo aspetto di criticità viene superato dalla Riforma Cartabia, in quanto stabilisce di fare un’istruttoria al giudice civile, in presenza di una semplice allegazione di violenza domestica, da parte di una delle due parti in causa. Le innovazioni legislative impatteranno, fortemente, il processo civile, ma agirà anche come incentivo sulla formazione e specializzazione".

 

6) Lei è Presidente di una Cooperativa Sociale (Sophia- Il diritto di esistere) che si occupa di violenza di Genere. In che modo, affrontate questa difficilissima battaglia?

"L’obiettivo è quello di informare le persone e di spiegar loro i vari tipi di violenza, in modo tale da riconoscerli e, nel caso, evitarli in tempo. Molti, ad esempio, non sanno che la violenza psicologica è penalmente perseguibile ed è riconducibile a fattispecie di reato quali:

- Maltrattamenti familiari ex art. 572 c.p.. Questo articolo regolamenta il complicato aspetto dei maltrattamenti all'interno delle mura domestiche. Nel caso in cui il reato sia accertato, le pene previste dall'ordinamento vanno da 1 a 5 anni di reclusione.

- Lesione personale: art. 582 c.p., riguarda, in primis, le forme di danno che la violenza può provocare sia a livello fisico che anche psichico ed in questo contesto, rientra, senza ombra di dubbio, anche la violenza psicologica. Nel caso di accertata colpevolezza, le pene vanno da 3 mesi fino a 3 anni di reclusione. Per lesioni fisiche e psichiche, è da intendersi qualsiasi lesione che procuri una prognosi superiore ai 20 giorni.

In caso di aggravanti ex. art. 583 c.p. , le pene possono essere aumentate fino a 7 anni di reclusione.

- Minaccia: art. 612 del c.p. con pene fino ad 1 anno di reclusione. Questo articolo si applica principalmente nel caso in cui vi siano minacce verbali di morte o effettuate con armi.

- Atti persecutori “stalking”, art. 612-bis. Si tratta di una forma di violenza psicologica che si sta diffondendo parecchio, negli ultimi anni, e che prevede una pena da 6 mesi fino a 4 anni di reclusione.

Violenza privata: art. 610 c.p. e riguarda la violazione della libertà personale e prevede pene fino a 4 anni di reclusione.

Noi crediamo che, informando e sensibilizzando su questa tema così delicato e impattante sulla società, si possa ridurre considerevolmente il numero di casi di violenza di genere. Per questo, abbiamo un Team di psicologici pronto ad interagire con le vittime di qualsiasi tipologia di violenza. Ci piace definirla una “rivoluzione culturale”, proprio perché sentiamo il bisogno di diffondere valori di rispetto, umanità e dignità".

Grazie

Avv. Alessandro Numini