Nonostante gli sforzi e la mobilitazione, il referendum promosso dalla Cgil si è fermato a un'affluenza del 30,5%: troppo poco per superare il quorum del 50%. Maurizio Landini, non usa giri di parole: «Non è stata una vittoria». Alla conferenza stampa convocata nella sede romana del sindacato, l'amarezza è palpabile.
I dati dicono che il referendum è stato snobbato dalla maggioranza del Paese, ma mostrano anche un'Italia spaccata per età e territorio. Nelle città universitarie l'affluenza ha toccato picchi inimmaginabili: all'Università Cattolica di Milano si è arrivati fino al 92% nelle sezioni per gli studenti fuorisede. Giovani e donne hanno risposto all'appello, ma da soli non sono bastati.
Landini, pur riconoscendo la sconfitta, difende la scelta referendaria e attacca il centrodestra: «Hanno politicizzato il voto, invitando ad andare al mare. Noi volevamo cambiare leggi balorde, non fare un plebiscito contro il governo». Ma nemmeno il centrosinistra è esente da colpe: «Se si trasforma tutto in una conta tra partiti, si perde di vista il problema vero: la crisi della democrazia».
Una affermazione dimostrata da ministri che ignorano i quesiti, partiti che parlano di governo invece che di lavoro e un elettorato confuso che alla fine ha scelto l'astensione.
Da destra piovono accuse di «sperpero di soldi pubblici», mentre i riformisti bollano l'iniziativa come una «battaglia di retroguardia». Landini respinge le accuse al mittente, ricordando che la Cgil aveva chiesto di votare in concomitanza con il primo turno delle amministrative. Anzi, rivendica il valore della campagna sul territorio: «Abbiamo costruito reti con realtà associative e sociali, parlato a giovani e precari. È un investimento per il futuro».
Sulla sua leadership, il segretario è netto: «Non mi dimetto». Il mandato scade tra un anno, e per ora il sindacato fa quadrato attorno a lui. Ma è chiaro che, dopo la batosta, si apre una fase di riflessione. Cambi di rotta, nuove alleanze, forse una revisione delle strategie. «Vedremo quali cambiamenti fare», ammette Landini. Intanto, serve una lettura che ribalti la narrazione di una débâcle totale.
Ed ecco che il dato dei 14 milioni di votanti diventa il nuovo punto di partenza. «Ricominciamo da 14», dicono Pd e Avs, con un riferimento non troppo velato al celebre film di Troisi. Conte si accoda: «È lo stesso numero con cui Meloni ha vinto le elezioni». Ma anche qui si rischia di forzare la lettura. Perché se è vero che milioni di italiani si sono espressi, è altrettanto vero che la soglia minima per incidere non è stata superata.
Ma non bisogna neppure dimenticare che alle politiche del 2022 ha votato poco più del doppio delle persone in un appuntamento annunciato e strombazzato su tutti i media per mesi e mesi, mentre alle ultime europee dello scorso anno i votanti sono stati sotto la soglia del 50%!
In quel caso, però, i dem Bonaccini e Picierno che oggi spalano letame sulla loro segretaria che ha avuto l'ardire di cercare di limitare le porcate di una legge come il Jobs Act che loro - senza vergogna e senza cervello - hanno contribuito ad approvare non è che non abbiano accettato il risultato delle urne nonostante il modestissimo interesse degli elettori. Così oggi, da Bruxelles, lanciano proclami in difesa di un'idea di partito che alle ultime politiche non è stato votato da nessun'altro se non da fedeli militanti che continuano ad intestardirsi nell'assurda idea che l'attuale Pd possa avere qualcosa a che fare con la sinistra.
Che almeno questo referendum possa servire a fare chiarezza in quel partito, in modo che possa liberarsi di gente che fonda il loro consenso confondendo il socialismo con il blairismo.