Sono passati quasi trent’anni da quel 1995, anno in cui mi avventuravo nel diffondere le meraviglie del neonato World Wide Web e predicare il verbo della “rete” da dietro le quinte di matasse di cavi, server, modem, router costosissimi e lentissimi, e ronzii di ogni genere.

Prima di allora si peregrinava con accoppiatori acustici per BBS (punto-punto) e i primordi della Rete con i Newsgroup e il Gopher, l’antenato del WWW. E a quest’ultimo ci si rivolgeva come “web” quando si volevano indicare sorgenti d’informazione o altri elementi fruiti attraverso la sua interfaccia grafica primordiale. Non era genericamente “internet”, o il “sito internet” come si dice oggi, perché si diffondeva la consapevolezza di cosa fosse internet rispetto ai servizi che poteva veicolare, come appunto il web.

A parte un pizzico di nostalgia per quella prima parte di gioventù, quel che abbiamo e usiamo oggi non è lontanamente paragonabile all’internet di ieri. E’ migliore oggi, ovviamente. Le tecnologie hardware e software hanno fatto passi da gigante, l’intero pianeta è connesso, la cultura è a portata di mano per chiunque, e l’evoluzione è sempre un bene.

Cosa non va, allora?

Beh, oggi mi sarebbe piaciuto poter dire: «tutti usano il web». Ma non posso. Perché tutti hanno un account social da qualche parte, questo si. La differenza tra il creare e scegliere informazione e cultura, rispetto a commentarla superficialmente e subirla, diventa talmente estrema da aver capovolto il senso della Rete. Ecco perché parlo di “Internet al contrario”.

Non era questo il progetto iniziale. Ve lo assicuro. L’ho vissuto in diretta e ho avuto occasione di confrontarmi con i ragazzi di quella che oggi chiamiamo la big internet (loro non sono più ragazzi, io continuo a esserlo caparbiamente). Il denaro, e la finanza che poi arriva con un proverbiale fallo da dietro, non muterà mai lo spirito ma sicuramente lo addomestica e cambia le carte in tavola. Ed è avvenuto.

Su Internet avrebbe dovuto prosperare una fruizione intelligente e totalmente diversa da quella odierna: un sistema culturale immenso, plurale, libero e accurato. Ma in particolare doveva essere un paradigma parallelo alla vita reale, come quando uscendo di casa ci si incammina scegliendo dove andare; non ci si siede sull’uscio a veder passare le persone o i negozi davanti a noi, come quando aspettiamo la nostra valigia sul nastro trasportatore all’aeroporto.

Una volta c’erano i bookmark!

Una serie interminabile e organizzata (già… i più bravi riuscivano anche a organizzarla, io non ci sono mai riuscito) di indirizzi che portavano verso i siti web preferiti da ciascuno. E si scambiavano anche per email, al bar, in pizzeria, prima che arrivasse Google a surclassare Altavista (qualcuno lo ricorderà), che fungeva anche da “reminder” per quelli più pigri ma comunque attratti dal visitare i loro luoghi preferiti.

Era ancora il momento in cui Internet si poneva come perfetta trasposizione virtuale degli elementi culturali della vita reale. Una libertà talmente riconosciuta che ne aveva timore perfino la televisione, strumento di fruizione passiva per eccellenza. E la carta stampata.

L’Internet al contrario è quando sul web ci si arriva solo attraverso il link social, o perché si deve accedere a un servizio dello Stato, piuttosto che all’home banking. Anche Google si inizia a usare con meno frequenza, benché oggi non abbia quasi più senso usare un motore di ricerca che pretende di fornire l’informazione giusta in prima pagina, tra centinaia di milioni di risorse. Assurdo il solo pensarlo; ma nessuno va oltre la terza pagina di risultati.

Se, dunque, da un lato la crescita esponenziale e globale della Rete era auspicata, perseguita e prevedibile, dall’altro lato non era previsto che una manciata di grandi imprese decidessero cosa far vedere agli utenti attraverso social, motori di ricerca e app! No. Non era affatto previsto che facessero da filtro indiscusso ai miliardi di utenti che comunicano i loro pensieri, e alle decine di milioni di risorse d’informazione e cultura, o quant’altro.

Glielo hanno permesso gli utenti stessi.

Eppure nel mondo reale è normalissimo pensare di doversi spostare, viaggiare, e dunque programmare, per poter arrivare in un luogo e godere dei suoi servizi, che siano essi ludici, culturali, hobbistici, ricreativi, o per lo shopping. Ci si informa in giro, si chiedono consigli, si consultano le informazioni necessarie, il tutto valutando e ponderando tra un luogo e l’altro, tra una risorsa e l’altra.

Non su Internet! Perché lì abbiamo deciso di andare coi social, con le app, o con la prima pagina del motore di ricerca. E tutto scorre in quel nastro che si chiama diario, stream, flusso, risultati, home, dell’infinite scrolling basato sui compulsivi like che si distribuiscono, piuttosto che su abitudini, interessi e interazioni che l’algoritmo valuta e propone a ciascuno. Ma quel che è peggio, è che nessuno oggi pare disposto a realizzare la propria totale dipendenza dagli algoritmi.

Un algoritmo non è solo un sistema per proporre contenuti sulla base dei vari interessi e abitudini (utile fino a un certo punto), ma arriva a decidere quali siano gli argomenti che l’utente può conoscere rispetto ad altri argomenti e pensieri. Gli algoritmi di poche imprese al mondo decidono oggi cosa è degno e cosa non lo è. L’utente lo subisce come in TV, e non può nemmeno cambiare canale.

Capite ora cosa intendo per Internet al contrario? Questo progetto - ripeto - era diverso. Dovevate essere voi a scegliere, digitare i vostri indirizzi sulla barra web ogni volta che volevate raggiungere una risorsa. Usare anche i social, perché no, ma conservando gli indirizzi, le pagine, i profili, delle risorse che si visitano e che piacciono, così come si fa ancora oggi con la rubrica del telefono. Scambiandoseli anche, come accade quando si legge un buon libro e se ne parla. Ma non stare a guardare uno schermo dove scorrono cose, e ricevere consigli da chi vede scorrere le medesime cose!

Non saprete mai quante risorse di inimmaginabile interesse, verità, profondità, utilità, non scorrono né mai scorreranno su questa Internet. Purtroppo in tal modo la TV avrà un validissimo alleato per perseguire i messaggi di consumismo sfrenato, rimbambimento di cervelli, e - non troppo occasionalmente - il famoso controllo sociale. E’ così che prevalgono le ossessive narrative sul lavoro, sulla guerra, sui sussidi, sulla destra e sulla sinistra. Con lo scorrere unico di palinsesti e pensieri che appartengono a una sparuta minoranza, ma divenuta così potente da orchestrare qualunque opinione.

Va bene il “grande fratello”, ”l’isola dei famosi”, e qualsiasi banalità e stupidaggine, giusto con qualche rara pillola di cultura che deve tuttavia rispettare i canoni dell’algoritmo. Questa è la ricetta!

Forse siamo solo alla fase entropica. In tutte le cose esiste una fase convulsa e di disordine. Ma prendiamone atto; perché sarebbe già ora di riportare un po’ d’ordine. Prendiamoci l’abitudine di parlare e recensire le risorse web o social che abbiamo scoperto e seguiamo davvero; proprio come si fa con i libri: con curiosità e passione. E soprattutto non aspettiamo che sul nostro stream appaia l’aggiornamento di quella cosa che ci è piaciuta tanto, perché potrebbe non piacere all’algoritmo!