L’albatro (Edizioni Neri Pozza), ultima fatica letteraria di Simona Lo Iacono, è un romanzo non solo scorrevole e bello nella stesura, ma è soprattutto profondo.  Rappresentato con lungimiranza dalla grafica editoriale della sua copertina, la lettura apre una porta che mette in comunicazione due registri narrativi:  l’infanzia e la fine del “viaggio” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.  

Lo sfondo storico del romanzo è la continuazione dei Vicerè di Federico De Roberto e del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa;  attraversati i moti rivoluzionari che capovolsero la società borbonica per consegnarla alla nuova Italia unificata, la nobiltà siciliana accoglie i cambiamenti della Storia con ritrosìa,  manifestando un atteggiamento ambiguo che, mentre guarda con l’ occhio destro il passato come un tempo di feudi e palazzi e strascichi di antiche dinastie regnanti,  con il sinistro mira il futuro, le rivoluzioni industriali, la borghesia, i commerci, le guerre che di lì a poco devasteranno. Giuseppe Tomasi riprende il filo della memoria degli eventi con le pagine di un diario scritto alla fine dei suoi giorni  in una clinica a Roma,  fino al decesso avvenuto il 23 luglio 1957.

Lo sguardo del protagonista, o di Simona Lo Iacono, è lo stesso, ha una visione dall’alto  simile all’  albatro in volo  che apre gli occhi su persone e cose. Allineandosi con il disincanto e l’accettazione di altri noti scrittori siciliani,  capaci di trascendere la condizione individuale a condizione umana universale in cui ogni uomo si riconosce,  fra le righe si legge un acuta operazione che invita alla riflessione  su temi importanti come  nascita,  morte,  fedeltà, amore. Con uno stile serrato e minimalista, le frasi incalzano  ponendo continue domande di “senso”,  nell’alternarsi ritmico del pensiero, ora del bambino Principuzzo ora dell’adulto Tomasi di Lampedusa,  al quale l’autrice consegna un ricordo di sé medesimo,  sfiorando e avvicinando il Mistero.

  Calza a pennello l’analogia con il brano  Mesopotamia di  Franco Battiato, anch’egli siciliano,  che recita “più si invecchia più affiorano ricordi lontanissimi” (album Giubbe Rosse  - 2001), dove alla domanda in musica cosa resterà di me e del mio transito terrestre?  Simona Lo Iacono, con il suo ultimo espediente letterario, risponde ponendo  un altro quesito: chi è l’albatro?

A mio avviso l’albatro e’ una presenza spirituale, interpretata da Antonno come metafora di sé stessi,  camuffata  con gli abiti dell’ amico d’infanzia che accompagna “al contrario”, fino a scomparire e lasciare un profondo solco nella memoria di chi  si chiede che razza di amore fosse. L’albatro è  spiegato dalla madre con la poesia di Charles Baudelaire (raccolta I Fiori del male) “ …. Il Poeta è come lui (l’albatro), principe delle nubi, che sta con l’uragano e ride degli arcieri; esule in terra fra gli scherni, impediscono che cammini con le sue ali da gigante”, ancora un’altra metafora che prende in prestito l’ornitologia per trasmettere la sofferenza dell’artista incompreso.

L’albatro è un modo garbato per parlarci di trascendenza e spiritualità. Per spingerci a guardare oltre. Simona Lo Iacono lo fa in maniera indiretta, sottile ed elegante, adescando il lettore con una sorta di scatole cinesi, di matrioske,  la stessa scrittrice contiene lo scrittore, che a sua volta incorpora il bambino, dentro il quale rivivono luoghi, atmosfere e personaggi di un tempo che fu, fino ad arrivare al nucleo, per l’appunto l’Albatro.

 

Simona Lo Iacono è nata a Siracusa nel 1970, è magistrato e presta servizio presso il Tribunale di Catania. Nel 2016 ha pubblicato il romanzo Le streghe di Lenzavacche (Edizioni E/O), con Neri Pozza ha pubblicato Il morso (2017; Beat 2019).