La morte del giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Antonin Scalia, rischia di innescare un aspro conflitto fra democratici e repubblicani e di infiammare ancor di più lo scontro in atto nella campagna per le elezioni presidenziali.
Scalia, 79 anni, è morto improvvisamente per cause naturali, in Texas, precisamente nel Cibolo Creek Ranch, vicino al confine con il Messico, dove si era recato per soddisfare una delle sue passioni, insieme al poker ed all'opera: quella della caccia.
Nominato da Ronald Reagan nel 1986, era il giudice in carica da più lungo tempo. Su posizioni dichiaratamente conservatrici, aveva iniziato quella che il New York Times ha definito una "Rinascita conservatrice", all'interno di un organo, quale la Corte Suprema, che con le sue sentenze è in grado di esercitare sulla politica, sull'economia e sulla società in generale un'influenza talvolta maggiore di quella del presidente o del Congresso.
Nei 30 anni in cui è stato in carica, Antonino Scalia si è reso famoso per la sua ortodossa interpretazione della costituzione. E' stato uno strenuo sostenitore del Secondo Emendamento, che consente a tutti i cittadini il possesso di armi, e si è opposto, altrettanto decisamente, all'aborto ed al matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Una delle decisioni più controverse in cui Scalia è stato coinvolto, è stata quella che vietò il riconteggio dei voti delle presidenziali del 2000 in Florida, decisione che consegno la Casa Bianca nelle mani di George Bush Jr., nonostante che il suo rivale, Al Gore, avesse ottenuto mezzo milione di voti in più a livello nazionale.
Con la morte di Scalia, si è rotto un equilibrio all'interno della Corte Suprema, che fino ad oggi aveva visto fronteggiarsi quattro liberali e quattro conservatori, con in mezzo il moderato Anthony Kennedy. Per questo la lotta per la nomina del suo successore rischia di essere piuttosto cruenta, tanto più che quest'anno dovranno essere prese decisioni importanti in merito di aborto, immigrazione, diritti dei lavoratori e cambiamento climatico.
La nomina spetta al presidente, ma il Senato deve ratificarla. Un grosso problema per Obama, che si è già detto intenzionato ad esercitare quello che è un suo diritto costituzionale, ma che deve confrontarsi con un Senato a maggioranza repubblicana, che potrebbe rifiutare il suo candidato o, comunque, procrastinarne la nomina fino all'entrata in carica del nuovo presidente. Il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, si è già espresso in questo senso.