«Qualche quotidiano stamattina scrive che il Movimento 5 Stelle sarebbe "isolato". Siamo isolati se diciamo - come abbiamo fatto ieri in Aula sul caso Open-Renzi - che i politici devono difendersi nei processi e non dai processi? Siamo isolati se vogliamo approvare subito il salario minimo per alzare gli stipendi da fame, combattendo precarietà e paghe da 3 o 4 euro l'ora? Se questa determinazione significa “isolamento” allora ne vado fiero. Ma in realtà io non credo proprio che ci ritroveremo isolati, perché avremo sempre il Paese al nostro fianco.La nostra linea è molto chiara: spetta agli altri fare chiarezza sulle proprie scelte di ieri e di domani. Chi vuole lavorare con noi non può eludere queste questioni, deve assumersi queste responsabilità. Possiamo discutere di tante cose, possiamo confrontarci per trovare nel dialogo tante soluzioni. Ma ci sono alcuni passaggi che non sono negoziabili, perché richiamano valori fondamentali del nostro essere in politica e del nostro modo di fare politica. Noi ci siamo per vocazione, per realizzare un progetto di società migliore.L'agenda politica di ieri, quella di oggi e quella di domani pone sempre il grande problema del vuoto, del silenzio della politica sui temi di etica pubblica e di giustizia sociale. Il Movimento è nato per colmare questo vuoto e continuerà ad esserci per assolvere a questa missione. Con forza, con coraggio, con ostinazione».

Questo è quanto ha dichiarato Giuseppe Conte per commentare il sì al conflitto di attribuzione votato dalla maggioranza del Senato per far esprimere la Corte costituzionale se dei messaggi WhatsApp debbano o meno essere considerati corrispondenza (la Cassazione ha già detto che non lo sono) e pertanto essere sottoposti al voto del Senato (o della Camera) per essere acquisiti come prova all'interno di un'inchiesta della magistratura.

Con la solita arroganza che lo contraddistingue, non inferiore - va sempre ricordato - al suo innato istinto di voler ribaltare la realtà ridisegnandola a suo uso e consumo, Matteo Renzi ha commentato il voto dichiarando che

«il Senato oggi si è espresso con una maggioranza schiacciante perchè [l'accento sbagliato è opera di Renzi, ndr] anche i PM fiorentini rispettino la legge e la Costituzione. Una bella giornata». 
Nel suo intervento in aula in fase di discussione, l'unico, il senatore Renzi ha attaccato i magistrati che lo vogliono rinviare a processo sul caso della Fondazione Open, dicendo che l'inchiesta sarebbe  già da archiviare per alcune sentenze espresse dalla Cassazione e che quanto da lui fatto è tutto giusto, sacrosanto e corretto. Ma allora perché, vivaddio, Renzi è così terrorizzato dalla possibilità che alcuni messaggi di WhatsApp possano diventare pubblici? Questo non lo ha spiegato, in compenso ha però trovato il tempo di dire perché il conflitto di attribuzione era dovuto:

«Oggi il punto di cui discutiamo è uno ed è semplice. La collega Modena ha ricordato l'articolo 68 della Costituzione. Il Costituente, con capacità di veggenza interessante e significativa, scrive che senza autorizzazione della Camera di appartenenza, è proibito, in qualsiasi forma, acquisire conversazioni o comunicazioni e addirittura arriva a vietare il sequestro di corrispondenza. Questo dice l'articolo 68. Di fronte a questo, la sintesi è molto semplice; non può essere acquisito senza il parere di questa Aula del materiale che riguarda la comunicazione e la corrispondenza di parlamentari. Perché? È un privilegio, come sostengono i populisti? No, è il frutto di una garanzia che cerca di separare, dopo decenni di cultura giuridica, il potere legislativo da quello esecutivo e da quello giudiziario. È uno dei capisaldi della democrazia liberale. Sulla spinta dell'indignazione popolare, negli anni Novanta, l'articolo 68 è stato riformulato e quella riformulazione oggi impedisce di fare quello che è stato fatto a me e che domani può essere fatto a voi. A me non possono fare altro: hanno già preso dalla corrispondenza del conto corrente, fino alle comunicazioni con gli amici, fino ai telefonini dei finanziatori».

Renzi, però, confonde la tutela della democrazia con la tutela dei suoi interessi... con la benedizione di gran parte dei senatori presenti, pure quelli del Partito Democratico che ad ogni occasione ci vuole sempre ricordare di che pasta e "impasto" è fatto.

Per fortuna, in Senato ci sono anche parlamentari come Piero Grasso (Misto-LeU-Eco), che non ha mancato di ricordare ai colleghi degli altri gruppi come stiano in realtà i fatti:

«La Giunta è definita un organo paragiurisdizionale, ma i dibattiti e i voti che vi si fanno non lo sono mai: sono sempre e solo guidati dalla convenienza politica.Chiedo quindi scusa a quest'Assemblea se sembrerà che vada fuori tema, ma parlerò esclusivamente di questioni giuridiche, perché la decisione di oggi costituirà un importante precedente ed è quindi delicata.Ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003, per sequestrare la corrispondenza o per intercettare l'utenza di un parlamentare ci vuole l'autorizzazione preventiva. Per le intercettazioni indirette o casuali, invece, se una delle parti chiede l'utilizzazione, sarà il giudice delle indagini preliminari a richiederne l'autorizzazione successiva ai sensi dell'articolo 6 della stessa legge.Entrando nel merito, chiariamo subito che il provvedimento di sequestro non è stato eseguito nei confronti del senatore Renzi, ma di un terzo non parlamentare. I messaggi di cui ci occupiamo non rientrano nella nozione di corrispondenza, che implica attività dinamiche di spedizione e di ricezione, né costituiscono attività di intercettazione, la quale richiede la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ma hanno la natura di documenti, un tertium genus non previsto dalla legge costituzionale n. 140 del 2003. Ciò è confortato dalla consolidata giurisprudenza della Cassazione che, con numerosissime sentenze - la più recente addirittura del 2021 - chiarisce che, sms, WhatsApp, posta elettronica scaricata o conservata nella memoria, rinvenuti in un cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti, con la conseguenza che la relativa acquisizione non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni.Inoltre, con la sentenza n. 390 del 2007 la Corte costituzionale ha chiarito che l'espressione dell'articolo 68, comma 3, della Costituzione, «intercettazioni, in qualsiasi forma» si riferisce alle diverse modalità di intercettazione, in qualsiasi forma, ad esempio distinguendo le telefoniche dalle ambientali, ma non a forme di comunicazione diverse.Dunque, ci troviamo di fronte a un caso particolare, ossia al caso di un sequestro di documentazione presso terzi, che, a tutela delle prerogative parlamentari, io ritengo debba essere equiparato alla disciplina delle intercettazioni indirette, ma che l'attuale legge non prevede.La relazione considera l'acquisizione dei messaggi come sequestro di corrispondenza e conclude che occorre in ogni caso l'autorizzazione preventiva, a prescindere dalla circostanza dell'utilizzo o meno di tali prove nei confronti del parlamentare e a prescindere dal fatto che il sequestro avvenga presso terzi.Vorrei che l'Aula comprendesse l'abnormità di tale pretesa. Proprio per l'imprevedibilità, ex ante, dell'esistenza del dato riferibile al parlamentare, l'autorità giudiziaria non potrebbe, neanche volendo, munirsi preventivamente dell'autorizzazione della Camera di appartenenza. Inoltre, i documenti, pur legittimamente sequestrati a un terzo, per la mancanza di autorizzazione preventiva risulterebbero inutilizzabili anche nei confronti del terzo, estendendo, quindi, di fatto le prerogative parlamentari anche ai non parlamentari. Così argomentando, basterebbe che in un telefono sequestrato a un mafioso vi fosse un messaggio inviato a un parlamentare per determinarne la inutilizzabilità anche nei confronti del mafioso. Assolutamente diverso il caso Siri, erroneamente indicato come valido precedente, perché si trattava di un atto di investigazione diretto nei confronti di un senatore, in quanto diretto nei confronti di un suo collaboratore, in un ufficio proprio del senatore.Per quanto riguarda il cosiddetto estratto conto, ritenuto nella relazione anch'esso corrispondenza da sottoporre all'autorizzazione preventiva, va precisato che non si parla di quello inviato solitamente al titolare del conto, ma di un documento acquisito legittimamente dalla magistratura, tramite richiesta alla banca, a seguito di una segnalazione di operazione sospetta, come tale prevista dalla legge. Quindi, non può essere oggetto di conflitto di attribuzione, ma, semmai, di una valutazione circa la riservatezza e il rispetto del segreto istruttorio.Senza che questo stupisca, su alcuni aspetti penso che il senatore Renzi abbia ragione. Io mi sono chiesto come mi sarei comportato da procuratore. Io avrei forse ritenuto opportuno investire della questione sollevata dal senatore Renzi il giudice per le indagini preliminari, che, nella sua terzietà, avrebbe garantito il corretto svolgimento delle indagini e avrei rispettato le sue decisioni.Su tali questioni, fra l'altro, deve ancora pronunciarsi il giudice per l'udienza preliminare. Allo stesso tempo, però, credo che sia errato trascinare il Senato in un conflitto di attribuzioni che non ha ragione di essere. Io mi sforzo di credere che il senatore Renzi abbia affrontato questa battaglia, non per difendere se stesso dal processo, come ha detto, ma per difendere le prerogative del Senato e di tutti i parlamentari.Per questo, ritengo che non ci siano i presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione, come prevede la relazione, ma che sia invece urgente intervenire integrando la disciplina della legge n. 140 del 2003 a tutela di tutti i componenti del Parlamento.Infatti, non ci può essere materia di conflitto tra poteri, perché il pubblico ministero non può aver abusato di una norma che non c'è.Allo stesso modo, il Senato non può pretendere un'autorizzazione preventiva non prevista dalla legge per un sequestro effettuato non nei confronti del parlamentare, ma presso terzi, e nemmeno un'applicazione analogica della disciplina delle intercettazioni indirette nel caso di un sequestro di documento presso terzi.Infatti, le norme che sanciscono immunità e prerogative parlamentari in deroga al principio di parità di trattamento dinanzi alla giurisdizione debbono essere interpretate nel senso più aderente al testo. Si dovrebbe quindi assimilare per legge ciò che transita dai nostri smartphone (sms, messaggi WhatsApp e di posta elettronica in memoria) alla disciplina già prevista per le intercettazioni indirette, prevedendo quindi per tutti i parlamentari la necessaria richiesta di autorizzazione all'utilizzo anche dei documenti. Questa innovazione legislativa non solo colmerebbe un vuoto, ma, per il principio del favor rei, si applicherebbe allo stesso senatore Renzi già nel procedimento in corso.Se invece si vuole reintrodurre una nuova e più ampia forma di immunità o la vecchia autorizzazione a procedere abrogata nel 1993, discutiamone apertamente. Ci si metta la faccia con una proposta di legge: io sarò contrario, ma, come spesso accade, potrei essere in minoranza.In conclusione, si ritiene che non esista la materia per sollevare nella specie un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto va individuato nel giudice mai investito della questione l'organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere dell'autorità giudiziaria, come previsto dall'articolo 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Inoltre, non si individua l'atto lesivo della funzione parlamentare se non nell'omissione della richiesta di autorizzazione a un sequestro eseguito nei confronti di un soggetto non parlamentare. Infine, come abbiamo visto, manca la norma che si assume violata nell'esercizio del potere.Per questi motivi, annuncio il voto contrario della componente Liberi e Uguali-Ecosolidali del Gruppo Misto alla relazione proposta».

Giudicate voi.