Dopo l'attacco al porto di Hodeida, Israele dovrà impegnarsi a difendere anche il confine meridionale
Sei i morti e almeno 80 i feriti a seguito dell'attacco israeliano che ieri ha colpito una raffineria nella città yemenita di Hodeidah, porto che si affaccia sul Mar Rosso, provocando un incendio di proporzioni gigantesche.
I ministeri degli esteri del Kuwait e dell'Oman hanno rilasciato ognuno dichiarazioni in cui denunciano il bombardamento di Israele in risposta al drone Houthi che venerdì aveva colpito un appartamento nel centro di Tel Aviv uccidendo una persona.
Il Kuwait ha affermato che le azioni di Israele contribuiscono a "indebolire gli sforzi internazionali volti a porre fine al ciclo di violenza" nella regione e sono contrarie all’obiettivo comune di ridurre le tensioni.
Da parte sua, l'Oman ha dichiarato che l'attacco allo Yemen "rappresenta una nuova escalation della tensione nella regione che complicherebbe ulteriormente la situazione regionale e ostacolerebbe gli sforzi per calmare la situazione".
L'Arabia Saudita, i cui rapporti con gli Houthi non sono certo amichevoli, si è limitata a precisare di non aver avuto alcun ruolo nell'attacco, aggiungendo che non permetterà a nessuno di utilizzare il suo spazio aereo per missioni militari.
Se quello degli Houthi poteva essere un atto dimostrativo, la risposta israeliana è stata invece considerata dagli yemeniti una vera e propria dichiarazione di guerra da parte di Israele.
Pertanto, gli Houthi continueranno ad attaccare Israele e non rispetteranno alcuna regola di ingaggio, ha detto ad Al Jazeera il portavoce del gruppo, Mohammed Abdulsalam:
"Tutte le istituzioni sensibili a tutti i livelli per noi saranno un bersaglio", ha affermato.
Mohammed al-Bukhaiti, un alto funzionario politico degli Houthi, ha dichiarato ad Al Jazeera che gli attacchi del gruppo contro Israele sono un gesto di solidarietà con i palestinesi:
"Questi attacchi da parte di Israele - ha poi proseguito - non influenzeranno mai la nostra posizione che è sempre a sostegno dei nostri fratelli in Palestina. Ciò aumenterà la determinazione a lavorare duramente per fermare il genocidio a Gaza.Quando abbiamo preso parte a questa guerra, abbiamo capito che ci sarebbero stati sacrifici e perdite, ma la nostra posizione è giusta ed etica e non ci fermeremo mai finché l'entità sionista non porrà fine ai suoi crimini a Gaza, qualunque siano i sacrifici".
Alla domanda se gli Houthi siano in comunicazione diretta con gruppi come Hezbollah per coordinare gli attacchi contro Israele, al-Bukhaiti ha risposto:
"Sì, certo, c'è coordinamento tra noi: Yemen, Palestina, Libano, Iraq e Iran. Ci sono anche operazioni congiunte tra noi e i nostri fratelli in Iraq; anche le nostre operazioni militari [che colpiscono] in profondità il nemico in terra o in mare sono coordinate con i nostri fratelli di Hamas. Il coordinamento c'è, si sta sviluppando tra noi e potremmo raggiungere un punto di unificazione nel combattere questa battaglia contro il nemico sionista".
Il governo filo-iraniano di Sanaa, guidato da Abdel Malek Houthi, nel corso degli anni ha sviluppato un arsenale militare capace di colpire con missili balistici e droni di fabbricazione iraniana obiettivi distanti anche duemila chilometri, come nel caso degli attacchi avvenuti nel recente passato contro installazioni petrolifere saudite e degli Emirati o il porto israeliano di Eilat, che dista circa 1.600 chilometri, fino al centro di Tel Aviv.
Nel 2015 l'Arabia Saudita aveva dato vita a una coalizione anti-Houthi a cui si erano uniti, tra gli altri, gli stessi Emirati e il risultato è che in 10 anni di guerra nello Yemen, stima l'Onu, sono morte più di 350mila persone. Nell'aprile del 2022, le parti in conflitto hanno raggiunto un accordo di tregua e un anno dopo, il disgelo politico e diplomatico tra Iran e Arabia Saudita, mediato dalla Cina, ha accelerato il dialogo tra Houthi e Riad, prolungando il cessate il fuoco, di fatto ancora in vigore.
Gli Houthi sono impegnati anche a fronteggiare la coalizione Usa Prosperity Guardian, e Ue, missione di Aspides, a protezione della navigazione nel Mar Rosso, dove i ribelli yemeniti vogliono impedire il passaggio di navi che possano fornire merci a Israele.