Il crollo del Muro di Berlino, la fine della guerra fredda, il disarmo nucleare, il ritiro dall'Afghanistan: questi gli avvenimenti principali ai quali Gorby, come lo chiamavano simpaticamente in occidente, ha contribuito in maniera determinante.
Non è poco, anzi, è tanto per il mondo in cui si è trovato ad esercitare il ruolo di leader dell’ancora U.R.S.S., per qualcuno addirittura troppo…; Glasnost e Perestroika sarebbero dovute essere i suoi cavalli di battaglia, le riforme che avrebbero dovuto correggere, rinnovare e aggiornare il socialismo, il cui almeno parziale fallimento lo ha costretto a gettare la spugna.
Nel suo ultimo discorso alla nazione, Gorbaciov ammise: "Ci abbiamo provato, non ci siamo riusciti", riconoscendo implicitamente che il Paese, la sua popolazione, la sua storia e la sua cultura non erano pronte al cambiamento; fu lungimirante nel riconoscere difetti e fragilità della Russia sovietica, della sua burocrazia imbalsamata e del suo apparato politico ormai rigido e cadaverico, riluttante a qualunque novità e ripiegato su sé stesso e sulle sue gerarchie istituzionali; sapendo che i tempi non sarebbero mai stati maturi, tentò l’impossibile, forse ingenuamente, accelerando forse troppo i processi di Trasparenza (Glasnost) e Ristrutturazione (Perestroika), forse nella consapevolezza che avrebbe avuto poco tempo, e nella speranza che avrebbe potuto contare sull’impulso positivo del popolo e del sistema economico.
Le sue riforme, invece, rimasero a metà strada, in un continuo equilibrismo tra capitalismo e comunismo leniniano, nell’affannosa ricerca di un socialismo realizzabile non tramite metamorfosi ma con una trasformazione che lo avvicinasse al resto del mondo, un socialismo più moderno e attuale; processi troppo rapidi e decisi che non riuscì a completare per le resistenze interne.
Nonostante cancellò la censura e aprì alla libertà di espressione e di opinione, al mercato e alla democrazia, molti russi vissero quella liberazione come una perdita di identità, il crollo repentino di un mondo che credevano immutabile; lo smarrimento per la privazione di antiche certezze, poche ma garantite, e la paura di una sottomissione economica e culturale all’occidente aumentò la divaricazione tra il suo modello riformista e l’opinione pubblica, oltre a scontrarsi apertamente con l’oligarchia politica e di potere tanto statica quanto tenace nel difendere la propria immutabilità e i propri privilegi.
Nemo profeta in patria, le sue riforme furono più auspicate e apprezzate ad Ovest e nei Paesi appartenenti al Patto di Varsavia che a Mosca e dintorni; se Margareth Thatcher dichiarò apertamente dopo averlo incontrato: “Di quest’uomo ci si può fidare”, Putin definì la caduta dell’Unione sovietica la più grande “catastrofe” del ventesimo secolo.
Eroe ad Ovest e traditore in Russia, fu il primo leader sovietico ad incontrare un Papa; nella vicenda Chernobyl, che resta una macchia della sua Glasnost, probabilmente restò incastrato forse troppo tra le oscure pieghe dell’apparato di sicurezza e segretezza del regime, che evidentemente ancora godeva di un’ampia base di consenso.
Ma diciamoci la verità, al netto delle riforme lo ricordiamo per il suo aspetto cordiale, i suoi sorrisi e le sue risate genuine e spontanee, le intense strette di mano con i leader mondiali, il suo cappello sempre in mano, la sua simpatia magnetica, il suo sguardo ottimista contagiante, e quella perenne espressione fiduciosa e sorniona che sembrava dire: “Si può fare…”
Troppa Perestroika e troppa Glasnost, troppo presto, troppo veloce, troppi ostacoli e forse troppo Occidente, che lo aveva messo in vetrina personalizzando troppa la sua opera politica, oltre che la sua vita privata e pubblica, rendendo ai propri connazionali la sensazione del tradimento e della svendita del ruolo di superpotenza mondiale dell’ormai ex Unione Sovietica.
Ambiva a realizzare il socialismo perfetto in un mondo perfetto: ma non esistono nessuno dei due…
Marco Rizzo, attuale segretario del Partito Comunista (italiano…), “era dal 1991 che aspettava di stappare la bottiglia migliore per festeggiare” la dipartita di colui che decretò il crollo dell’U.R.S.S.: bottiglia sicuramente non di Vodka, dato che il comunismo sovietico non lo ha mai realmente vissuto sulla sua pelle…
Mikhail Gorbaciov era TROPPO per tutti, forse anche per lui.
Paolo Scafati