L’emergenza  Coronavirus sta infliggendo un duro colpo all’intero made in Italy, con l’effetto da parte di alcuni paesi esteri (anche in Eu), di generare una vera guerra commerciale contro il made in Italy.

In Europa, e non solo,  l'Italia viene considerata come un qualcosa dal quale stare alla larga o, addirittura, evitare come la peste. Insieme all’Italia e agli italiani, anche il Made in Italy ha iniziato a essere respinto o non accettato, sempre per paura di una possibile diffusione del contagio di coronavirus.

Assolombardia e Confagri avevano già segnalato casi di difficoltà di esportazione di vari prodotti alimentari, letteralmente bloccati da importatori membri dell'Ue che chiedevano un certificato di "Coronavirus free". In altre parole, un'etichetta che attestasse la totale sicurezza sanitaria di quelle merci. La Commissione europea ha dovuto perfino intervenire dichiarando che non esisteva alcuna trasmissione di Covid-19 tramite alimenti e che "misure restrittive sul commercio di prodotti alimentari non sarebbero giustificate".                                                       

Con l’estensione su tutto il territorio nazionale dell’area rossa per il contrasto alla diffusione del Covid-19, dichiarata dal presidente del consiglio il 9 Marzo, sono riprese le discriminazioni e speculazioni sull’esportazione di merce italiana all’estero. Dopo il chiarimento del Governo Conte, circa il trasporto delle merci, considerato come un’esigenza lavorativa e che, pertanto, il personale che conduce i mezzi di trasporto può circolare liberamente sul territorio italiano, limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci, iniziano a palesarsi tentativi di “guerra commerciale” dai Paesi esteri che pretendono il marchio “virus free” ai prodotti Made in Italy.


Quindi come devono comportarsi le aziende?

Innanzitutto, è doveroso comunicare  alle aziende che “Non è necessaria alcuna certificazione “virus free”.  Come ha specificato il Ministro dello Sviluppo Economico  Stefano Patuanelli: “I nostri prodotti non sono diversi da quelli di prima e non è necessaria alcuna certificazione ulteriore rispetto a quelle già previste .”
Ad avalIare la tesi, anche il Sottosegretario alle Politiche Agricole, Giuseppe L’Abbate, che rassicura gli esportatori e ricorda le norme comunitarie e nazionali che vietano la richiesta di una certificazione “virus free” affermando che:“Nessun Paese estero, membro dell'Ue o extra Ue, è legittimato a pretendere un marchio “virus free” ai prodotti Made in Italy”, per chiarire, a fronte di tali richieste provenienti da operatori commerciali esteri, che esse sono illegali e quindi perseguibili”.

Infatti, l’azienda che riceve la richiesta  di certificazione virus free, deve sapere che  si tratta di una pratica commerciale sleale, vietata dalla normativa comunitaria e dallo stesso decreto n. 9 emanato lo scorso 2 marzo 2020:

Pratica commerciale sleale, vietata nelle relazioni tra acquirenti e fornitoriIl decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” afferma chiaramente all’art. 33 che “costituisce pratica commerciale sleale vietata nelle relazioni tra acquirenti e fornitori ai sensi della direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, la subordinazione di acquisto di prodotti agroalimentari a certificazioni non obbligatorie riferite al COVID-19 né indicate in accordi di fornitura per la consegna dei prodotti su base regolare antecedenti agli accordi stessi. Salvo che il fatto non costituisca reato, il contraente, a eccezione del consumatore finale, che contravviene” a questi obblighi “è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 15.000 a euro 60.000. La misura della sanzione è determinata facendo riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che non ha rispettato i divieti”. Responsabile dei controlli e delle relative sanzioni è l’Icqrf, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi.

Dulcis in fundo, anche il MAECI è intervenuto comunicando tramite i propri canali istituzionali la seguente informativa: 


Transfrontalieri
Le limitazioni introdotte oggi non vietano gli spostamenti per comprovati motivi di lavoro. Salvo che siano soggetti a quarantena o che siano risultati positivi al virus, i transfrontalieri potranno quindi entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa. Gli interessati potranno comprovare il motivo lavorativo dello spostamento con qualsiasi mezzo, inclusa una dichiarazione che potrà essere resa alle forze di polizia in caso di eventuali controlli.

Merci
Le merci possono entrare ed uscire dai territori interessati. Il trasporto delle merci è considerato come un'esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto può quindi entrare e uscire dai territori interessati e spostarsi all'interno degli stessi, limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci.L’unico ceppo per quanto concerne  i trasportatori, rimane quello di trovare società disposte ad operare pur nella situazione emrgenziale in cui ci troviamo. 


Scritto da Nino Zizzo
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