"Il tenente Colombo", "L'uomo dalla maschera di ferro", "Fuga da Alcatraz", "Braveheart", ma sopratutto "Il Prigioniero". Appena una manciata di titoli citati, e fra cui uno solo da protagonista.

In realtà sono molti di più i ruoli principali che Patrick McGoohan ha interpretato, notevoli le opere che ha diretto, di spessore le compartecipazioni non semplicemente eseguite. Eppure, talvolta, la memoria sa essere impietosa; e magari, la spiegazione sta nell'ovvietà per cui si diventa "schiavi del proprio personaggio".

Fu lo stesso McGoohan, in un certo qual modo, a definire la sua carriera artistica così nel 2003: "Mel Gibson sarà sempre Mad Max, ed io sarò sempre un Numero". Ora, per i profani del genere, l'affermazione dell'attore di origine irlandese può sembrare vagamente incomprensibile; ma chi ha seguito la storia del "Villaggio", sa bene qual è il tema.

Proviamo allora a fare un passo indietro e addentrarci nella storia: dopo quattro stagioni di successo in "Danger Man - Gioco Pericoloso", McGoohan riscuote un successo grande almeno quanto la popolarità del suo personaggio "John Drake" fra il pubblico televisivo. È in questo clima di successo che il produttore Lew Grade gli chiese di lavorare ancora con lui per qualcosa di simile.

McGoohan gli propose la bozza di quella che in seguito sarebbe stata definita "una miniserie incentrata su un agente segreto che si dimette ed improvvisamente si risveglia in una prigione dall'aspetto di un villaggio vacanze". Oltre ad esserne il protagonista, McGoohan ne sarebbe stato il produttore esecutivo, lo sceneggiatore, e il regista per diversi episodi; in alcuni casi utilizzando anche pseudonimi. I sette episodi previsti divennero poi diciassette.

Nacque così "Il Prigioniero": un uomo che tenta di scappare da una fastosa e italianeggiante isola chiamata "Il Villaggio", in cui egli è appunto prigioniero assieme ad altri. Caratteristica degli "ospiti" dell'isola è il fatto d'essere appellati ognuno con un numero, e non per nome. Il nostro protagonista è il "Numero 6", che ad ogni puntata è chiamato a sventare i piani dei vari "Numero 2" (capi del villaggio a turno) che tentano di piegare la volontà del nostro uomo. L'escalation prevede l'avvicinamento progressivo dell'eroe alla sua nemesi: il "Numero 1".

"Lei è il numero 6", per McGoohan quell'eco divenne un metro di paragone tale che ogni interpretazione successiva cui presentasse delle analogie concettuali, inevitabilmente perdeva il confronto e finiva per esser catturata dai Rover del "Villaggio".

Allora sia così per il direttore del carcere interpretato in "Fuga da Alcatraz" nel 1979, ma ci fu quel certo "Agente 007 - Licenza di uccidere" del 1962 a cui Patrick McGoohan fu proposto il ruolo di James Bond che lui rifiutò. Sei anni prima della serie tv che lo rese popolare, l'attore rigettò la proposta che lo avrebbe consacrato alla storia come l'interprete del primo filone cinematografico dedicato al personaggio nato dalla penna di Ian Fleming.

Talvolta, però, è necessario essere intellettualmente onesti: Patrick McGoohan è stato un attore che la televisione e il cinema hanno rubato al teatro, un artista fra quelli che hanno cercato sempre di scavare introspezione nelle opere di cui sono stati autori. La ricerca del proprio "io", il sostenimento dell'essere, le componenti sono queste; come nell'emblematico cammino fra i sotterranei del "villaggio" quando è possibile udire "All you need is love". La differenza sostanziale sta fra l'accettazione e il perseverante rifiuto di essa: 007 annullava il suo essere James Bond, mentre il Numero 6 ricercava sé stesso in quanto individuo.

È bello pensare che Patrick McGoohann abbia ricusato il ruolo dell'agente segreto più famoso del mondo per dedicarsi alla natura del suo essere; per dedicarsi, all'opportunità d'interpretare in seguito un altro agente segreto che rispecchiasse ciò che artisticamente sentiva di poter condividere. È suggestivo credere che, a quell'eco sopracitato, rispondesse come ad ogni episodio della sua iconica opera: "Io non sono un numero, sono un uomo libero!". Zero viene prima di Uno, e non ha vincoli di successione. Uno dei più grandi artisti che "C'era una volta ad Hollywood".