Una storia familiare finita nel peggiore dei modi. In una notte da incubo per la placida Carmagnola, grossa cittadina adagiata sulle colline di Torino. A una trentina di chilometri dalla Mole Antonelliana si è scatenata la violenza feroce di chi, sentendosi rifiutato, diventa belva sanguinaria. Sotto i colpi dell’assassino si è spenta una giovane mamma di nemmeno quarant’anni. Per il figlio di cinque anni, un mortale colpo di arma bianca alla gola. Prima di tagliarsi le vene e buttarsi dal terzo piano. Lui, il duplice omicida però, pur gravemente ferito, è salvo.
La sua famiglia ora vive solo nelle pagine di cronaca nera e nello sconcerto di una cittadina attonita e sgomenta. La cronaca potrebbe finire qua ma noi andremo oltre. Per capire cosa è scattato nella mente di un rappresentante di commercio trentanovenne, Alessandro Riccio, assassino del figlio e della moglie che aveva deciso di lasciarlo. Teodora Casasanta, coetanea del marito, è un’operatrice sanitaria. Brava e stimata professionista, mamma esemplare. Dall’estate scorsa la famigliola si era trasferita a Carmagnola da un’altra cittadina dell’hinterland della città metropolitana di Torino, Nichelino. Terzo piano di una tranquilla palazzina in un paese abitato da gente operosa, riservata, attenta custode della propria tradizione. I mesi scorrono. Qualche cosa di orribile cova sotto la cenere nella mente di Alessandro.
Un mostro spietato pronto a uccidere che si scatena durante la notte dal 28 al 29 gennaio. Teodora sta prendendo la sua strada. Per lei la loro unione è finita. Una discussione. Poi, a dormire. Mentre è nel sonno, l’uomo che ha sposato si trasforma in una macchina di morte. Con dei corpi contundenti infierisce sulla donna fino a ucciderla. Compiuta la missione assassina, raggiunge il piccolo Ludovico e lo finisce con una coltellata alla gola. Il sangue inonda quella palazzina come tante in una delle città più tranquille d’Italia. I vicini sentono il trambusto, chiamano il 112. Mentre i Carabinieri della compagnia di Moncalieri intervengono in forze, Alessandro si è già tagliato i polsi e gettato dalla finestra. Un volo di due piani. Ma è ancora cosciente e riesce a trascinarsi lungo le scale. I militari lo trovano davanti al pianerottolo di casa: ha salito i tre piani, nonostante le gravi fratture riportate nel volo e l’emorragia per i profondi tagli ai polsi. Al modernissimo e attrezzato CTO di Torino i sanitari lo salvano. Nulla da fare per quella che era la sua famiglia. Teodora e Ludovico sono esamini, in un lago di sangue. Vittime di quel dramma chiamato femminicidio, di un altro uomo incapace di accettare una realtà diversa dalla sua.
Prof. Bruno, siamo di fronte ad un’ennesima tragedia in cui han perso la vita una mamma e il suo bambino. Dalle ricostruzioni degli inquirenti l’omicida non risulta avere precedenti per violenze. Cosa scatta nella mente di un soggetto che agisce un’azione così efferata?Innanzitutto bisogna dire che anche il più tipico dei femminicidi non avviene, come in questo caso solo da parte di uomini che stanno per essere lasciati da parte di donne sempre più indipendenti, ma soprattutto da parte di uomini affetti da disturbi mentali quali la paranoia o la gelosia e talvolta la depressione come in questo caso, per cui si agisce un vero e proprio suicidio allargato e si uccidono anche i figli bambini o adolescenti.
Dott.ssa Palmigiano, sembra che tale agito sia derivato da problemi legati alla separazione. In precedenti interviste Lei ha sostenuto che gli autori di questi omicidi sono persone che non riescono a gestire la frustrazione di fronte ad una scelta di questo tipo. Anche in questo caso è così?Sì, ahimè questa tipologia di scenario è molto frequente. La frustrazione è uno stato psichico di profondo malessere, che insorge di fronte a difficoltà sentite come insormontabili. La vita è costellata di frustrazioni e ognuno di noi, a vari livelli, ci deve fare i conti. Probabilmente in questo caso specifico, l’omicida, per sue caratteristiche personologiche, non ha retto la frustrazione derivata dalla scelta di Teodora di mettere fine alla relazione ed ha agito la conseguente azione omicidiaria.
Prof. Bruno, troppo spesso, erroneamente, viene utilizzato il termine raptus per giustificare un’azione di questo tipo. Possiamo dire a voce alta che il raptus non esiste?Il raptus è un’invenzione giornalistica. Esso non può avvenire senza un prolungato stato d’animo depressivo che, a volte, può essere nascosto agli altri finché non si manifesta nelle sue atroci conseguenze.
Dott.ssa Palmigiano, il figlicidio, l’uccisione del proprio figlio. Com’e’ possibile che un padre ammazzi il sangue del suo sangue?La cronaca ci restituisce purtroppo altri casi in cui si è avuto un epilogo di questo tipo; in cui il figlicidio paterno sfocia in uxoricidio o come in questo caso “suicidio mancato”. Il crollo della convinzione di essere il perno della famiglia, l’idea di perdere il proprio figlio o che quest’ultimo possa rapportarsi ad un nuovo compagno della madre, in una struttura di personalità spesso imperniata sul possesso e controllo, fa sentire l’uomo impotente e pieno di rabbia al punto da agire tale aberrante agito.
Prof. Bruno, prima di buttarsi dal balcone di casa, l'uomo avrebbe tentato di tagliarsi le vene dei polsi e ingerito un liquido, con l’intento di suicidarsi. Cosa è accaduto, è stato fagocitato dal senso di colpa?In questi casi predomina il desiderio di distruggere tutta la famiglia e quindi non si hanno sensi di colpa perché l’omicidio viene visto come un atto di coraggio che tende ad evitare quella che viene interpretata come una grave sciagura che “certamente” si abbatterà sui bambini stessi abbandonati dalla madre.