La riforma penitenziaria va completata guardando all’Europa e agli Stati membri più evoluti
Il modello retributivo, il modello riabilitativo ed il modello riparativo non sono tra loro incompatibili. Sono tre aspetti della pena che concorrono al contenimento del fenomeno criminale, in base alla strategia d'intervento utilizzata.
Oltre sessantamila persone sono detenute negli istituti penitenziari italiani. La maggior parte di questi luoghi sono insalubri, sovraffollati e pericolosi. Gli istituti di reclusione, inoltre, offrono poche o nessuna opportunità di riabilitazione, trattamento, impiego o istruzione efficace. A complicare ulteriormente la questione, il continuo aumento di reati e le riduzioni ataviche di personale. Uno Stato di diritto come il nostro può e deve fare di più. Una vera riforma dovrà essere giocoforza organica e finalizzata a creare ambienti sicuri sia per il personale sia per i detenuti. Questa a mio avviso dovrebbe essere la priorità assoluta.
Un carcere che sia compatibile con la nostra Carta Costituzionale non può non riconoscere la dignità intrinseca degli individui che ivi soggiornano. In Unione europea esistono già modelli più umani ed efficienti a cui ispirarsi in nazioni come Germania, Paesi Bassi e Scandinavia. Non sarebbe male confrontarsi con quelle esperienze ed apprendere il loro approccio umanistico alla giustizia penale e alla reclusione. La pena del futuro non potrà non essere al tempo stesso effettiva e riabilitativa. La politica deve adottare misure per dare priorità a simili riforme.
Le nuove carceri dovranno essere ripensate anche per le possibilità di riduzione dell'isolamento (salvo i casi eccezionali: mafie, terrorismo, delitti particolarmente gravi); per garantire l'offerta di opportunità lavorative in linea con il mercato moderno delle professioni; per la promozione di modifiche legislative al fine di ridurre il numero di persone incarcerate e accorciare le loro condanne soprattutto per quei reati di minimo allarme sociale.
Dobbiamo pensare a istituti di pena realmente riabilitativi per chi è recluso e sicuri per coloro che vi lavorano Non possiamo pensare a riforme che non siano realmente innovative nel settore. Le riforme bandiera o peggio a macchia di leopardo non servono. La vera sfida del terzo millennio saranno soluzioni nuove e sostenibili che consentano alle giurisdizioni di poter contare su un sistema penale organico e al passo con i tempi.
Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.