C’è un sistema di formazione in Italia che funziona. Un sistema che garantisce ai giovani una preparazione concreta, un lavoro qualificato e stipendi dignitosi. No, non è l’università. No, non è la solita filiera di stage sottopagati e contratti precari spacciati per opportunità. Si chiama ITS, Istituti Tecnologici Superiori, ed è il segreto meglio nascosto del sistema educativo italiano.

Gli ITS sono scuole di alta specializzazione tecnologica post-diploma, nate per colmare il divario tra formazione e mondo del lavoro. In due anni formano professionisti richiesti dalle aziende e li inseriscono direttamente nel mercato. Il tasso di occupazione degli ITS supera l’80%, con punte del 100% in alcuni settori. Per capirci, mentre le università italiane sfornano migliaia di laureati destinati alla disoccupazione o al precariato, gli ITS preparano giovani che le aziende si contendono prima ancora che finiscano il corso.

E allora perché nessuno ne parla abbastanza? Perché finora nessun governo, indipendentemente dall'orientamento politico, ha realmente dato a questa soluzione il supporto che merita? Solo ora si fa un po' di rumore intorno agli ITS grazie al sistema 4+2. Non fanno perdere tempo, non creano illusioni, non riempiono le aule universitarie di studenti che saranno carne da macello per il mercato del lavoro. Gli ITS rappresentano una soluzione, mentre il sistema universitario italiano, per come è strutturato oggi, è parte del problema. Tutto ovviamente armonizzato con il territorio e le sue imprese. Esempi virtuosi di ITS che stanno dimostrando l’efficacia di questo modello si trovano in diverse regioni d’Italia. L’ITS Meccatronico Veneto, ad esempio, vanta un tasso di occupazione del 98% grazie alla sua forte sinergia con le aziende del settore manifatturiero. L’ITS Turismo e Beni Culturali della Toscana ha saputo creare percorsi innovativi che hanno portato a una valorizzazione delle eccellenze locali, formando figure altamente richieste nel settore dell’accoglienza e della gestione dei patrimoni artistici. L’ITS Lombardia Mobilità Sostenibile ha sviluppato un modello di formazione che risponde alle sfide della transizione ecologica, collaborando con aziende all’avanguardia nel settore automotive. Questi esempi dimostrano che quando un ITS è in grado di interfacciarsi direttamente con il mondo produttivo, i risultati non tardano ad arrivare, e molti altri.

A ribadire con forza questa realtà è stato Massimiliano Nicolini, esperto di intelligenza artificiale, bioinformatica e realtà immersiva, direttore del dipartimento di ricerca della Fondazione Olitec e presidente del comitato di valutazione del Cluster Innovation della Regione Emilia-Romagna. Le sue dichiarazioni non sono arrivate in un contesto qualunque, ma nel corso del convegno preparatorio al Tecnopolo di Bologna su IA e mondo del lavoro, uno degli appuntamenti più importanti per il futuro dell’innovazione e della formazione in Italia.

Qui Nicolini ha parlato chiaro: “Scegliere un ITS oggi significa avere la certezza di un lavoro domani”. Un’affermazione forte, ma basata su fatti concreti. Gli ITS sono progettati con e per le imprese, formando professionisti in campi come intelligenza artificiale, realtà immersiva, bioinformatica, robotica, cybersecurity e sostenibilità tecnologica. Settori in cui le aziende non trovano abbastanza lavoratori specializzati, perché l’università è ancora ferma a programmi obsoleti e scollegati dal mercato.

Se qualcuno pensa che Nicolini parli per slogan, farebbe bene a guardare cosa sta succedendo con il percorso ITS BRIA, di cui è uno dei principali promotori. Questo modello formativo, nato per colmare il divario tra formazione e innovazione nel campo delle tecnologie emergenti, è un progetto che sta iniziando a prendere forma grazie alla volontà di fondazioni illuminate e sta già attirando l’attenzione di diversi ITS in tutta Italia, che stanno valutando di adottarlo nel prossimo biennio.

Il motivo è semplice: ITS BRIA non è un corso teorico, ma un ecosistema formativo perfettamente integrato con il mondo del lavoro. Ventisei imprese nazionali del settore IT hanno già firmato un accordo per assumere almeno 142 studenti non appena termineranno il percorso di studi. Un modello che assicura l’occupazione non perché lo promette, ma perché nasce direttamente dalle esigenze delle aziende, grazie anche all'incessante lavoro dei rappresentanti di Confindustria e di Confapi che siedono nel comitato di Fondazione Olitec.

Diversi ITS stanno già studiando come implementare il metodo BRIA nei propri percorsi formativi, riconoscendone il valore innovativo. L’approccio è basato sulle competenze concrete, con laboratori e simulazioni avanzate, mentre il coinvolgimento diretto delle imprese non si limita a finanziare il percorso, ma prevede una collaborazione attiva nella didattica e nell’orientamento. A fare la differenza è soprattutto la garanzia di occupazione, perché il modello prevede l’ingresso diretto nel mercato del lavoro con figure professionali richieste e immediatamente operative.

Se questa formula venisse adottata su scala nazionale, potremmo finalmente parlare di un sistema di formazione che non lascia nessuno indietro, eliminando la piaga del precariato giovanile e dello sfruttamento post-universitario.

Ma allora, perché gli ITS non vengono promossi come meriterebbero? Perché nelle scuole superiori gli insegnanti continuano a spingere verso l’università, ignorando questi percorsi? La risposta è scomoda: l’università è un business.

Ogni studente iscritto porta finanziamenti alle facoltà, indipendentemente dal fatto che trovi lavoro. Più studenti, più soldi, più corsi di laurea inutili creati solo per tenere alto il numero degli iscritti. Al contrario, gli ITS funzionano troppo bene: formano meno studenti, ma li inseriscono subito nel mercato del lavoro. E questo, per un sistema che campa sulla precarietà, è un problema.

Oggi scegliere un ITS è un atto di ribellione intelligente. È dire no ai tirocini gratuiti, no ai contratti a progetto, no alla retorica del “prima o poi ce la farai”. È prendere in mano il proprio futuro e costruirlo su basi concrete.

Lo ha capito Massimiliano Nicolini, che con il suo impegno sta portando avanti una battaglia culturale per far conoscere questa opportunità. «Se vogliamo un’Italia che riparta davvero, dobbiamo smettere di creare laureati disoccupati e iniziare a formare professionisti richiesti dal mercato», ha detto con forza. «Gli ITS sono il futuro, ed è ora di smettere di ignorarlo».

Se altri ITS adotteranno il modello BRIA, come già alcuni stanno valutando, potremmo finalmente avere un sistema di formazione che mette i giovani davanti al mercato del lavoro con competenze reali e opportunità concrete. Tuttavia, anche se il mondo ITS non dovesse approcciare al BRIA, rimarrebbero comunque i migliori centri dove trovare giovani preparati, con competenze tecniche avanzate e pronte a rispondere alle esigenze delle aziende. Nicolini si augura che la politica e la dirigenza mantengano la barra dritta, sostenendo sempre più con forza questo sistema, affinché possa crescere e consolidarsi come una colonna portante della formazione e dell'occupazione in Italia.

La domanda, a questo punto, non è più se il sistema ITS sia la scelta giusta, ma quando il nostro Paese si deciderà a puntarci davvero.