Sabato 10 giugno Papa Francesco ha percorso i due/tre chilometri che separano il Vaticano dal Quirinale per far visita al presidente della Repubblica italiana. Una visita che ricambia quella che Sergio Matterella, in via ufficiale, aveva fatto recandosi in Vaticano il 18 aprile 2015.

È il secondo presidente della Repubblica che Bergoglio incontra. Infatti, già nel 2013 vi era stato uno scambio di visite con Giorgio Napolitano. Una lunga consuetudine, quella degli incontri tra Stato italiano e Chiesa cattolica, che risale fin dal luglio del '46, quando Pio XII ricevette Enrico de Nicola.

Come qualsiasi visita ufficiale che si rispetti, i due "capi di Stato" hanno pronunciato i rispettivi discorsi ufficiali leggendo ognuno un testo preparato in precedenza. E nel testo, guai se così non fosse avvenuto, le solite frasi di circostanza collegate alla situazione nazionale, quella internazionale e all'opera svolta da ognuno nell'ambito delle rispettive cariche.

Così, Mattarella ha invoncato responsabilità per il lavoro, impegno per l'occupazione giovanile, equità e stabilità sociale, il mantenimento degli accordi di Parigi sul clima, un fronte comune contro il terrorismo, il dramma dei migranti su cui l'Europa dovrebbe varare un progetto comune...

Questi, per lo più, i temi citati da Mattarella: un elenco di problemi a cui lui avrebbe dovuto e dovrebbe "richiamare all'ordine" la classe politica italiana, ma che finora lo hanno visto sempre silente se non addirittura assente, salvo qualche rarissima eccezione (vedi legge elettorale).


Di rimando, Papa Francesco ha risposto con una serie di richiami e inviti che hanno avuto per oggetto la dignità della persona, la famiglia, il lavoro, senza dimenticare gli elogi per "il modo col quale lo Stato e il popolo italiano stanno affrontando la crisi migratoria, insieme allo sforzo compiuto per assistere doverosamente le popolazioni colpite dal sisma, ... espressione di sentimenti e di atteggiamenti che trovano la loro fonte più genuina nella fede cristiana, che ha plasmato il carattere degli italiani e che nei momenti drammatici risplende maggiormente".

Ma non sono mancati neppure gli inviti ad una "responsabilità in campo politico e amministrativo ... [per] un paziente e umile lavoro per il bene comune, che cerchi di rafforzare i legami tra la gente e le istituzioni, perché da questa tenace tessitura e da questo impegno corale si sviluppa la vera democrazia e si avviano a soluzione questioni che, a causa della loro complessità, nessuno può pretendere di risolvere da solo."

Un appello in cui il Papa ha pensato bene di coinvolgere anche la Chiesa, ricordando l'articolo 7 della Costituzione, definendo quella italiana "una peculiare forma di laicità, non ostile e conflittuale, ma amichevole e collaborativa".

Ed in funzione di ciò, Bergoglio ha aggiunto che "se l’Italia saprà avvalersi di tutte le sue risorse spirituali e materiali in spirito di collaborazione tra le sue diverse componenti civili, troverà la via giusta per un ordinato sviluppo e per governare nel modo più appropriato i fenomeni e le problematiche che le stanno di fronte".

Ed ha concluso il suo discorso ribadendo che "la Santa Sede, la Chiesa Cattolica e le sue istituzioni assicurano, nella distinzione dei ruoli e delle responsabilità, la loro fattiva collaborazione in vista del bene comune. Nella Chiesa cattolica e nei principi del cristianesimo, di cui è plasmata la sua ricca e millenaria storia, l’Italia troverà sempre il migliore alleato per la crescita della società, per la sua concordia e per il suo vero progresso. Che Dio benedica e protegga l’Italia!".